Anche nelle colonie in Cisgiordania gli affari del Golfo (col genero di Trump)

Inchiesta di Middle East Eye: Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti sono collegati, mediante Affinity Partners di Kushner, a imprese nella lista nera Onu. Coinvolte banche e aziende che operano nel settore delle telecomunicazioni, trasporti, energia, ingegneria e vendita al dettaglio. Gli affari negli insediamenti più forti della solidarietà ai palestinesi. 

Riyadh (AsiaNews) – Gli Stati del Golfo sono collegati a vario titolo con imprese israeliane inserite nella lista nera Onu di quante sostengono o promuovono gli insediamenti – illegali secondo il diritto internazionale – in Cisgiordania e a Gerusalemme est. È quanto emerge da un’inchiesta pubblicata da Middle East Eye (Mee) secondo cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (Eau) e Qatar sono in affari con l’azienda di Jared Kushner, genero del presidente statunitense Donald Trump. Artefice dei cosiddetti “Accordi di Abramo” nel primo mandato del Tycoon alla Casa Bianca, l’imprenditore Usa di origine ebraica sarebbe oggi il maggiore azionista di una società di investimenti collegata a una omologa israeliana. Quest’ultima risulta avere partecipazioni in imprese e aziende accusate dalle Nazioni Unite di operare nei territori palestinesi occupati.

Affinity Partners, società di investimento con sede a Miami (Florida) fondata nel 2021 da Kushner, ha ricevuto diversi miliardi di dollari di finanziamenti dai fondi sovrani degli Stati del Golfo. A gennaio, poche settimane dopo aver ottenuto ulteriori finanziamenti dall’Autorità per gli investimenti del Qatar (Qia) e da una società di investimento con sede ad Abu Dhabi, ha completato l’acquisto di una quota vicina al 10% di Phoenix Financial. Phoenix, in precedenza nota come Phoenix Holdings, è un gruppo israeliano di servizi finanziari che offre servizi assicurativi e di gestione patrimoniale e detiene azioni di altre società israeliane a proprio nome e attraverso una controllata, Phoenix Investment House.

L’inchiesta ha mostrato come, fra le controllate, risultino almeno 11 società pubbliche e una società privata attualmente menzionate in un database di aziende con legami con gli insediamenti israeliani in Cisgiordania, Gerusalemme est e nelle alture siriane occupate del Golan. Le imprese, inserite nell’elenco compilato dall’Ufficio dell’Alto commissario Onu per i diritti umani (Ohchr), includono banche e aziende che operano nel settore delle telecomunicazioni, dei trasporti, dell’energia, dell’ingegneria e della vendita al dettaglio.

Secondo i dati della Borsa di Tel Aviv esaminati da Mee il 12 marzo, le partecipazioni totali di Phoenix nelle 11 società pubbliche sono attualmente valutate a circa 4,5 miliardi di dollari, e la società Affinity, in una nota, si dice “orgogliosa” di essere la maggiore azionista. Si tratta, spiega la dichiarazione, di una delle istituzioni finanziarie israeliane “più performanti e ben considerate”. Di contro “gli investitori di Affinity sono passivi, cioè non hanno alcun ruolo nelle operazioni di Affinity o di Phoenix”.

Commentando a gennaio l’investimento di Affinity in Phoenix, Kushner ha detto che l’operazione era “una decisione radicata nella mia fiducia nella capacità di ripresa di Israele” e ha descritto i partner come “alcuni degli investitori più sofisticati di tutta la regione”. Tuttavia emergono numerosi interrogativi sul fatto che gli Stati del Golfo stiano ora indirettamente facilitando o traendo profitto da attività legate agli insediamenti. Affari che proseguono, pur se i palestinesi in Cisgiordania devono affrontare un’escalation di attacchi militari che hanno fatto sfollare decine di migliaia di persone e provocato un’impennata di attacchi da parte dei coloni.

Attivisti ed esperti del settore non si mostrano sorpresi per il fatto che un investitore delle dimensioni di Phoenix abbia partecipazioni in aziende accusate di complicità nell’espansione degli insediamenti in Cisgiordania. A stupire sono gli investimenti degli Stati del Golfo che, in qualche modo, alimentano la politica di occupazione israeliana, soprattutto fra quanti – leggi Arabia Saudita, che anche in questi 500 giorni di guerra a Gaza ha manifestato a parole solidarietà ai palestinesi – non hanno firmato accordi di normalizzazione. 

Lo scorso ottobre il sovrano del Qatar sceicco Tamim bin Hamad Al Thani ha dichiarato che Israele ha scelto di espandere la sua “aggressione” in Cisgiordania attuando piani preesistenti. Lo Stato ebraico, ha aggiunto, “sta sfruttando l’opportunità dell’inazione della comunità internazionale”. Un mese dopo il ministero saudita degli Esteri ha detto che gli appelli dell’estrema destra israeliana ad annettere la Cisgiordania “minano gli sforzi di pace compresa la soluzione dei due Stati, incoraggiano la guerra, alimentano l’estremismo e minacciano sicurezza e stabilità della regione”. A gennaio il ministero emiratino degli Esteri ha “condannato e denunciato con forza” gli attacchi di Israele a Jenin. Al-Haq, organizzazione palestinese per i diritti umani con sede a Ramallah, ha esortato gli Stati “ad astenersi da progetti di normalizzazione” e prestare attenzione per non essere “complici del genocidio e dell’espropriazione in corso del popolo palestinese”.

Nel 2016 il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha incaricato l’Ohchr di creare un database delle imprese coinvolte in attività negli insediamenti israeliani illegali. La Phoeinx, legata alla Affinity Partners di Kushner a sua volta sostenuta dalle petromonarchie del Golfo, è collegata a società pro-insediamenti che operano nei settori: finanziario, con partecipazioni in Israel Discount Bank, Bank Leumi e Hapoalim Bank; telecomunicazioni, vantando azioni in Cellcom e Partner Communications; edilizia, con Electra e Sahpir Engineering and Industry; energia, con Paz Retail and Energy che controlla stazioni di rifornimento negli insediamenti in Cisgiordania; vendita al dettaglio con ZMH Hammerman; trasporti, con Mayer Cars&Trucks.

Noam Perry, coordinatore ricerca strategica dell’American Friends Service Committee, che si occupa di monitorare la complicità delle aziende nelle violenze di Stato, definisce impossibile per un investitore come Phoenix evitare l’esposizione negli insediamenti. Queste entità, sottolinea l’esperto, pur essendo illegali per il diritto internazionale sono “integrate nell’economia locale e la legge israeliana definisce la loro esclusione come una forma di discriminazione. Pertanto, sarebbe impossibile per un’azienda come Phoenix evitare tali partecipazioni. Lo stesso – conclude Perry – varrebbe per tutti i grandi investitori che entrano nel mercato israeliano”.

Infine, nei giorni scorsi un movimento di primo piano pro-colonie israeliano (foto 2) ha visitato gli Emirati Arabi Uniti incontrando alti funzionari governativi, come confermano alcuni media israeliani fra i quali il sito web di notizie 0404 News. La delegazione – comprendeva Israel Ganz, presidente del Consiglio Yesha, Eliram Azoulay, consiglio regionale degli insediamenti di Hebron Hills e il CEO del Consiglio Yesha Omer Rahamim – ha discusso le opportunità di cooperazione economica, di sicurezza e diplomatica. Fra gli eventi in calendario anche una cena dell’Iftar (che rompe il digiuno nel mese sacro di Ramadan) presso la residenza ufficiale di Ali Rashid al-Nuaimi, un membro anziano del Consiglio nazionale Eau.

Fonte : Asia