Chip del supercalcolo, c’è un progetto per crearli made in Europe

Un investimento di 240 milioni e un progetto che coinvolge 38 partner europei, tra cui aziende, organizzazioni e università, per creare i chip del supercalcolo made in Europe. Il progetto Dare, avviato in questi giorni, rappresenta uno dei più ambiziosi tentativi di imprimere un cambio di passo nello sviluppo tecnologico del Vecchio continente.

L’obiettivo è quello di progettare (e realizzare) una serie di chip ad alte prestazioni che permettano di dare nuova linfa allo sviluppo tecnologico, con un occhio di riguardo all’AI. Una sfida che si inserisce nel programma dell’iniziativa EuroHPC Joint Undertaking, che mira alla creazione di un ecosistema di supercomputer a livello continentale.

Un settore in cui l’Europa è indietro

Se si guarda la classifica dei 500 supercomputer più potenti al mondo, l’Europa non sembra cavarsela male. Nella lista relativa al settore Hpc (high performance computing), tra i primi 30 supercomputer ne compaiono ben 10 realizzati in paesi europei. L’Italia, in questa classifica, è addirittura tra le migliori. Se si guarda alla dotazione hardware, però, si scopre rapidamente che utilizzano tutti tecnologie statunitensi.

Insomma: si può anche dire che i paesi europei siano attivi nel settore, ma il loro ruolo è quello di semplici “assemblatori”. Le tecnologie alla base dei supercomputer di nuova generazione arrivano dall’altra parte dell’Atlantico.

Nel settore dello sviluppo di applicazioni e nell’utilizzo dei supercomputer l’Europa è piuttosto competitiva” spiega a Wired Marco Aldinucci, docente dell’Università di Torino e principal investigator di Dare. “Nella produzione di processori ad alte prestazioni, però, ha perso molto terreno. Il progetto Dare punta a recuperare proprio nel settore della progettazione dei chip per il supercalcolo”.

Una strategia “aperta” per la sovranità tecnologica

L’acronimo del progetto Dare, per esteso, è Digital Autonomy with RISC-V in Europe. Al centro del progetto, infatti, c’è proprio quello standard Risc-V che da quasi 15 anni suscita grandi aspettative grazie alla licenza open source a cui è collegato.

Nelle strategie dell’Unione Europea si è scelto di promuovere l’open source per favorire modelli di sviluppo tecnologici aperti, collaborativi e indipendenti” sottolinea Alessia D’Orazio, research manager della fondazione Icsc. Oltre che una scelta ideologica, però, la scelta dell’open source offre anche dei vantaggi a livello pratico ed economico.

Fonte : Wired