Siamo a New York, grattacieli di Wall Street, davanti a Ground Zero, nell’head quarter di Uber. Qui un’italiana guida una squadra che lavora senza sosta a un progetto ambizioso: fare di Uber la nuova Amazon. E portarti a casa qualsiasi cosa. Lei è Francesca Boccolini, 40 anni, alle spalle ha una startup di grande successo, davanti una nuova missione: proiettare Uber oltre le corse e il foodelivery, trasformandola in una piattaforma di e-commerce, che consegna tutto on demand.
«È un po’ la grande scommessa di oggi: creare qualcosa di grande per cambiare le abitudini di acquisto delle persone». In azienda tutti gli occhi sono puntati su di lei e sul suo team. Gestisce un grande team per il go to market di questa nuova linea di business che si chiama Retail. «Stiamo crescendo moltissimo. Qui ti chiedono spirito imprenditoriale, responsabilità. Tutto dipende da te. È un po’ come fare startup dentro una grande corporate. La lezione la impari subito appena entri in un’azienda come questa. Push the boundaries, spingi oltre i limiti, vai al di là di quello che sembra possibile. Un mindset che, in parte, sento nel mio Dna da italiana, ma che qui è la regola. Ti spingono a non fermarti neanche quando pensi che sia finita».
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Di Perugia, Boccolini si laurea in economia aziendale alla Luiss di Roma. Prima esperienza lavorativa in Wind3. «A quel tempo in Italia era la cosa più tech che esistesse. Il Ceo era un mio ex professore: Max Ibarra, per me un mentore, un uomo di grande ispirazione». Vuole fare startup, ma capisce presto che qui è impossibile. Parte per Londra e frequenta un master in Technology Entrepreneurship alla UCL, University College London (tra le prime dieci università del mondo). Era il 2012. «Londra era in fermento, le startup più note d’Europa stavano nascendo tutte lì. Il master era costruito per farti creare una startup. E così ho fatto».
Con due soci, Francesca fonda nel 2018 SonicJobs. «Siamo partiti da un’idea semplice: aiutare le persone a trovare lavoro in modo veloce, un po’ come il Tinder del lavoro». La startup cresce rapidamente e diventa la più grande piattaforma di recruitment a Londra. Poi integra l’intelligenza artificiale per automatizzare il processo di candidatura e facilita il matching tra aziende e candidati. Dopo il successo in UK, Francesca parte e va negli Stati Uniti, per scalare. «Abbiamo creato una startup da zero e l’abbiamo portata a cento. Abbiamo raccolto 10 milioni di dollari in finanziamenti. Una storia di successo bellissima, che continua ancora oggi». In quegli anni viene inserita nella lista delle 100 tech influencers d’Europa. «Ma a un certo punto ho sentito il bisogno di fare un’esperienza diversa. Dopo tanti anni mi sono chiesta: dove sto andando? Sto ancora imparando? Ero pronta a fare di più». Dalla California va New York, si separa da SonicJobs, fa una semplice application a Uber, la chiamano subito. Inizia a lavorare nel team globale nel 2022, occupandosi di strategie di crescita.
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«Poi un giorno mi hanno detto: ‘Bene, ora ti occupi di far crescere la parte Retail’. La cultura americana è bella finché le cose vanno bene, ma è anche dura e spietata: chi non è un high performer ogni sei mesi viene lasciato andare. È un sistema faticoso, competitivo, premia chi dà tutto se stesso. Non c’è nessuno che va a casa alle 18. Il lavoro è completamente integrato nella vita. È il famoso paradosso americano: si vive per lavorare, invece di lavorare per vivere. La barra è sempre altissima e sei costantemente incentivato a dare di più, accettare nuovi progetti, guadagnare di più. È una spirale senza fine, ma al tempo stesso le opportunità sono enormi».
Uber oggi è quotata in borsa, ha 30.000 dipendenti e sotto la guida del CEO l’iraniano Dara Khosrowshahi («un grande leader»), l’azienda ha intrapreso un percorso di riforma culturale. I tempi di Travis Kalanick, il fondatore che aveva promosso una bro culture, aggressiva e maschilista, sono lontani.
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«Oggi c’è attenzione alla diversità, all’equità, all’inclusione. I team sono tutti internazionali e con parità di genere. Lavorare qui è un’esperienza bella perché si sente ancora lo spirito della startup. Ho molti colleghi che sono in Uber fin dai primi giorni. Nei corridoi di fronte a quello che è rimasto delle Torri Gemelle sento parlare italiano e mi ritrovo a casa».
Il core business restano le Uber rides e il food delivery ma l’espansione continua. «Abbiamo appena chiuso delle partnership con macchine a guida autonoma e stiamo diventando a tutti gli effetti un e-commerce, un concorrente diretto di Amazon».
L’idea di spingersi oltre è qualcosa che a Boccolini appartiene da sempre.
«Me lo ha insegnato mio padre. Era un medico, tornava a casa alle 10 di sera con il sorriso. Ha lavorato tutta la vita. I dottori non staccano mai. La sua dedizione, l’entusiasmo, la sua voglia di fare sono stati un modello per me.
Era un uomo straordinario. Quando mi accompagnava all’università, lungo il tragitto, passavamo sempre davanti a un magnifico palazzo vicino al Lungotevere. Sulla facciata era incisa una frase in latino: Nihil difficile volenti. Ogni volta, mio padre la indicava e mi ripeteva: “Ricordati, niente è difficile per chi lo vuole. Dipende tutto da te”. Questo episodio ha lasciato un segno profondo. Come un seme piantato senza che me ne accorgessi, è cresciuto dentro di me, ha alimentato il mio modo di vedere il mondo».
E anche per questo, lei ha sempre sentito il bisogno di vedere cosa ci fosse al di là dell’orizzonte. «Sono cresciuta a Perugia, in un contesto piccolo, in una città di provincia. Sono stata fortunata a crescere in un posto così, perché questo ha alimentato la mia fame. Non sono nata a New York, a Londra, a San Francisco, a Parigi o a Milano. Sono nata in una città piccola, dove tutto mi stava stretto. Ed è proprio questo che mi ha spinto a volere di più, a desiderare di esplorare oltre i confini di ciò che vedevo ogni giorno. Sentivo un’urgenza di fare, di vedere, di mettermi alla prova. Scalpitavo. A 15 anni dicevo ai miei genitori: “Mandatemi all’estero, voglio vedere il mondo”. E loro mi guardavano increduli: “Hai solo 15 anni, dove pensi di andare?” E davanti al “Qui mi annoio”, mio padre rispondeva: “Leggi un altro libro, le persone intelligenti e che leggono non si annoiano mai”». Insegnamenti che diventano valori. «È per questo che si spezza il cuore quando vedo i figli degli amici o i più giovani che nella vita non vogliono fare nulla. Noi abbiamo il dovere di puntare al nostro cielo. A quello che è il massimo per noi. E a non fermarci».
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E dopo Uber, cosa farai?
«Sogno nuove avventure imprenditoriali, un’altra startup. E poi tornare a Perugia, magari fra vent’anni, da dove sono scappata. Per rivalutare tutto».
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Fonte : Repubblica