Stalker in ufficio: così le app per controllare i figli sono usate per spiare partner e dipendenti

È di pochi giorni fa la notizia di una ragazza di Ercolano localizzata tramite l’utilizzo del Gps e sequestrata dai genitori che non accettavano la sua omosessualità. La 20enne aveva lasciato la casa della propria famiglia proprio per sfuggire ai maltrattamenti che subiva, a causa della sua relazione sentimentale con un’altra ragazza. E si era rifugiata da un’amica. I genitori l’hanno individuata grazie al Gps sul telefono. L’hanno così raggiunta e portata via con la forza, rinchiudendola in casa e proibendole contatti con l’esterno. 

Non sappiamo in questo caso se si trattasse di un software-spia, di uno strumento di parental control o di una semplice condivisione della posizione (attivata in ogni caso e con tutta probabilità all’insaputa della ragazza). Ma i casi di stalking tramite strumenti informatici non mancano: anche Filippo Turetta, sebbene l’aggravante degli atti persecutori non gli sia stata riconosciuta, secondo le indagini avrebbe installato sul telefono di Giulia Cecchettin (nella foto sotto) un’applicazione in grado di monitorare i suoi movimenti online e non.

Spyware per tutti: entrare nel telefono di qualcuno è semplice

Il caso Equalize, poi Paragon. Probabilmente prima degli ultimi mesi il grande pubblico non aveva grande confidenza con i dossieraggi. Negli ultimi tempi invece le vicende di spionaggio dominano il dibattito pubblico. I grandi scandali sono però la punta dell’iceberg e la manifestazione più evidente di un mercato della sorveglianza in piena espansione. Come dimostrano i due drammatici casi di cronaca citati, “spiare” non è solo appannaggio di governi, apparati di intelligence, forze dell’ordine e sistemi complessi, di cui possono dotarsi le grandi aziende. 

Giulia Cecchettin e Filippo Turetta-3

Anche a livelli più bassi e con metodi per così dire commerciali, entrare nel telefono di qualcuno è possibile praticamente per chiunque: basta pagare, e non parliamo di cifre da capogiro. Per qualche decina di euro al mese, poche centinaia per i servizi più completi, si può avere accesso a un’ampia categoria di app-spia scaricabili dallo store del telefono come qualsiasi altra applicazione. 

Ascolto delle telefonate e screenshot: le funzionalità degli spyware

Basta una veloce ricerca online: il mercato di spyware e stalkerware (che sono invisibili e non a caso richiamano a un reato specifico, lo stalking) è lì pronto a offrire soluzioni di controllo estremamente invasive, che vanno dalla trasmissione in tempo reale delle telefonate e dei messaggi vocali, allo storico della localizzazione e, sostanzialmente, al tracciamento completo di tutti i movimenti online e di buona parte di quelli offline.

Tra i primi risultati mostrati dai motori di ricerca, spicca un software funzionante esclusivamente su dispositivi Android che offre 2 giorni di prova gratuita. Dopodiché è possibile scegliere tra una licenza della durata di 90 giorni al costo di 359 euro, oppure illimitata a 689 euro.

Tra le funzioni troviamo la registrazione delle chiamate, la possibilità di effettuare un ascolto ambientale, realizzare video e screenshot in diretta dal telefono della persona spiata; avere accesso alla localizzazione (ogni 15 minuti o a richiesta), così come allo storico della posizione, che permette quindi di ricostruire con esattezza i movimenti di una persona. E, ancora, la visualizzazione di tutte le chat, delle email, dei file in memoria e dei siti web visitati.

Non solo app: tutti i kit “per spioni” in vendita sul mercato

Accanto alla licenza sull’app per il controllo di telefoni e pc, spicca una vasta gamma di prodotti per lo spionaggio offline: da micro-registratori a microcamere, trasmettitori nascosti in comuni caricabatterie e kit da installare in auto che permettono di trasmettere la posizione del veicolo e registrare l’audio dell’interno dell’abitacolo (nella foto sotto). Per molti prodotti c’è anche la possibilità di pagare a rate: segno ulteriore di come il settore della sorveglianza sia in pieno boom, anche per i comuni mortali.

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Tra i vari siti consultati, a vantare ottime recensioni da parte dei clienti e una vasta gamma di servizi c’è un altro software che funziona invece sia su Android che su iOs. Sul sito viene presentata come la miglior app “parental control per monitorare pc, telefoni e tablet dei tuoi figli. Ma non solo”. Anche qui le possibilità di abbonamento sono diverse e i prezzi appaiono leggermente più contenuti (nella foto sotto). I due fornitori di software, simili a molti altri facilmente rintracciabili online, si presentano come specificamente dedicati al parental control. Ma è ovvio che si prestano anche ad altri usi. 

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Tra le possibili applicazioni cui si fa riferimento c’è ad esempio “la gestione aziendale. Sempre nel rispetto della legge”. Entrambe le società evidenziano la propria esclusione di responsabilità per utilizzi non legali. “Il controllo di altre persone, tramite il software, è vietato dalla legge ed è penale, quindi chi installa il software all’insaputa dell’interessato è responsabile civilmente e penalmente e prenderà tutte le responsabilità a riguardo”, recita una delle informative.

Gli abusi nella zona grigia: tutti i rischi del parental control

Ma qual è il discrimine tra utilizzo legale e non legale quando si parla di app-spia? Proprio qui emerge tutto il paradosso della zona grigia in cui operano questi sistemi di sorveglianza. L’impiego di software di controllo è legale nel momento in cui il sorvegliato dà il proprio consenso esplicito alla sorveglianza. In molti sistemi di parental control, i minorenni vengono avvisati di non poter accedere a specifici siti o contenuti in determinati orari. Ma questo non accade sempre, e le app di spyware che abbiamo visionato spesso e non a caso ammiccano al potenziale cliente citando la “invisibilità” del’app. Questi sistemi sono infatti pensati per agire silenziosamente e nascondere la propria presenza nel telefono (nella foto sotto).

migliore app parental control-2

Per installare l’app-spia è necessario avere accesso diretto al dispositivo che si vuole mettere sotto controllo: qui sta la differenza maggiore con malaware più complessi che possono essere installati a distanza e che (per fortuna) non sono così facilmente accessibili.

I “servizi premium”: ma le truffe sono sempre dietro l’angolo

Decido quindi di contattare una delle società di parental control visionate, presentandomi come una ragazza interessata all’acquisto dell’app per controllare il proprio partner. L’operatore mi risponde con fare sbrigativo, spiegandomi che “c’è un’altra opzione, non presente sul sito” che permette ad un costo superiore (990 euro al mese, con abbonamento minimo di due mesi) di controllare a 360 gradi una persona anche senza avere fisicamente accesso al suo telefono. In questo caso basta fornire il numero di cellulare di chi si vuole sorvegliare, mi viene assicurato.

Quando esprimo dubbi sulla natura legale dell’attività, vista anche la necessità del consenso che viene più volte ribadita sul sito, mi viene risposto candidamente che “quelle sono cose che si devono scrivere”. Destano poi non pochi dubbi le modalità di pagamento che mi vengono prospettate: esclusivamente tramite PostePay o bonifico istantaneo. Nessun’altra opzione che possa offrire qualche garanzia in più al cliente. 

Strano a dirsi, facendo qualche ricerca emerge che la società in questione sembrerebbe piuttosto avvezza a non mantenere le promesse. “Una volta che lo pagate sparisce nel nulla e vi blocca su Whatsapp”, avverte un utente su una popolare piattaforma di recensioni. Uno scenario confermato da molti: “Questo sito vende un software inesistente. Una volta ricevuto il pagamento via ricarica Postepay, intestata a persona fisica, ti blocca su Whatsapp e non ti risponde più in nessun modo”.

Lo scorso aprile, la stessa società era stata oggetto di un servizio di Le Iene. Dietro ci sarebbe Massimiliano Oliva, ex finanziere già condannato in passato per aver chiesto soldi a un imprenditore cinese, dietro la minaccia di multe da migliaia di euro. Rintracciato dai giornalisti, Oliva aveva cercato di fuggire, dichiarando però di non sapere nulla.

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A oggi, come abbiamo potuto verificare, i servizi della società – con contestuale richiesta di pagamenti istantanei – continuano ad essere proposti apertamente dagli operatori che rispondono ai contatti forniti. Il disclaimer del sito rimanda a una società registrata tra Roma e Civitavecchia. Dalla visura risulta un provvedimento di sequestro disposto dalla procura di Civitavecchia (nella foto sopra).

Affidabili o truffaldini che siano, l’area in cui vivono simili servizi di parental control è un limbo legale sottile che permette di prosperare senza grossi problemi. Tutti i siti che abbiamo visionato sottolineano la necessità di avere accesso al dispositivo che si vuole “spiare”.

Il fatto che si riesca ad avere nelle proprie mani il telefono di una persona che si vuole controllare non significa però automaticamente che quella persona abbia dato il proprio consenso ad essere sorvegliato. Perciò le società che offrono questi servizi si prestano facilmente ad un utilizzo illegale dei propri software, e lo fanno ovviamente in modo consapevole, suggerendo in maniera molto esplicita lo spionaggio dei propri dipendenti o quello del proprio partner.

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In una vignetta che rappresenta un esempio di impiego dell’app, una lavoratrice scrive al proprio capo un messaggio in cui si dice malata. Sotto, la sua ricerca sul web: “Come avere un aumento di salario quando si cambia lavoro”. Ricerca che idealmente il datore di lavoro sarebbe in grado di vedere grazie all’impiego del software, “stanando” quindi la dipendente sleale (nella foto sopra).

In un altro illuminante suggerimento, grazie all’app-spia un uomo riesce a scoprire la relazione extraconiugale della moglie. “Mio marito mi verrà a prendere dopo lavoro”, scrive una donna rifiutando la richiesta di un incontro con il probabile amante. “Terribile”, commenta lui. “Buone notizie – lo informa lei in seguito – questo weekend mio marito sarà via per un viaggio di lavoro”.

L’app “acquistata da Turetta” per controllare Giulia Cecchettin

Il riferimento alla possibilità di controllare il o la propria partner a distanza, implicitamente senza consenso, inquieta non poco se pensiamo ai casi di cronaca in cui donne hanno subito stalking proprio grazie all’utilizzo di questi strumenti informatici. 

Nella condanna all’ergastolo di Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin, l’unica aggravante riconosciuta dai giudici al 23enne è stata quella della premeditazione, mentre sono state escluse quelle della crudeltà e degli atti persecutori. Resi evidenti, secondo l’accusa, dal controllo maniacale che esercitava sull’ex fidanzata anche tramite un’app spia che avrebbe installato sul telefono della giovane. L’accusa ha infatti menzionato i “reiterati atteggiamenti minacciosi, il controllo dei suoi social media, l’acquisto di app spia che consentissero di monitorare lo stato online di Giulia in modo anonimo, il controllo dei follower, gli incontri inaspettati senza essere attesi, gli approcci fisici sgraditi”.

Il mancato riconoscimento dello stalking è stato accolto duramente dalla sorella della vittima, Elena Cecchettin. “Ciò che è successo non sparisce solo perché un’aggravante non viene contestata, o più di una. E non toglie nemmeno il dolore e l’ansia che ho dovuto subire io personalmente in quanto persona vicina a Giulia. Inevitabilmente le persone intime alla vittima vengono trascinate negli stati di ansia e turbamento. Chiaramente non sto insinuando che il dolore che abbia provato Giulia sia paragonabile, tuttavia è giusto ricordare che il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche alla famiglia della vittima”, ha commentato all’indomani della sentenza.

L’indagine: il 4 per cento dei telefonini infettati da stalkerware

Aldilà di casi clamorosi, si tratta di un fenomeno diffuso: secondo un’indagine di Kaspersky – società specializzata in sicurezza informatica – il 6 per cento degli intervistati in Italia ha riferito di essere stato tracciato senza il proprio consenso, e il 4 per cento ha scoperto che sui propri dispositivi era stato installato uno stalkerware da parte del proprio partner.

Il parental control, nato per monitorare la sicurezza dei propri figli nel mondo virtuale, e spinto soprattutto dalla presenza invasiva dei social nella vita dei più giovani, si rivela uno strumento ambiguo perché il quadro normativo si presta a forzature e distorsioni. Ma limitarsi a criticare l’impianto legislativo di uno strumento (per quanto sicuramente migliorabile) non dà in fondo una piena visione del fenomeno. 

Strumenti di spyware nell’area grigia della legalità sorgono per rispondere a una domanda di mercato che è un’esigenza precisa esistente nella società: quella di controllare. Nell’era della sorveglianza digitale, in cui la gratuità di social media e servizi internet è quasi sempre pagata con i nostri dati personali, in cui è possibile scoprire moltissime informazioni sensibili su una persona anche semplicemente spulciando per qualche minuto le pagine social, abbiamo introiettato l’idea di questa possibilità allettante. Fino a trasformare la consapevolezza che questa opportunità esiste in un bisogno. E a farne le spese è naturalmente la parte debole nella relazione di potere: il dipendente nell’azienda, o la persona vittima di un partner ossessivo.

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Fonte : Today