“E’ il solito Chiambretti, da anni”. Lo si sente ripetere costantemente e il giudizio pare essere diventato quasi un marchio incancellabile sulla pelle del conduttore torinese, tornato in una da una settimana con “Fin che la barca va”. Venticinque puntate complessive – almeno per questa prima fase – che riportano Piero Chiambretti nell’access prime time di Rai 3, dove tutto nacque e dove, probabilmente, ammirammo la sua versione più creativa e ispirata. Oggi come allora, Chiambretti sceglie l’aria aperta e non gli studi televisivi, ma il Piero del 2025 risulta assai diverso dal Pierino degli albori. Inevitabilmente e, forse, anche giustamente.
“Il solito Chiambretti”, dicevamo. Ritornello che ormai lo perseguita, come se fosse il perfetto rappresentante di una televisione sempre uguale a se stessa. Tuttavia, se ci si guarda attorno, non si impiega troppo tempo a rilevare che anche De Filippi, Scotti, Carlucci e Bonolis portano avanti l’identico schema da almeno un quarto di secolo.
L’accusa, però, vale solo per Chiambretti che, in effetti, ama rilanciare con trasmissioni che poggiano sistematicamente sul medesimo impianto: intervistatore seduto e lui in piedi pronto all’interrogatorio. Fu così a “Markette”, al “Chiambretti Night”, al “Grand Hotel Chiambretti”, al “Chiambretti Supermarket”, alla “Repubblica delle donne” e, guardando al presente, è così a “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”.
Il faccia a faccia è il suo forte, o perlomeno ciò che lo esalta di più. Motivo per cui nemmeno “Fin che la barca va” esce da quel circuito, con la vera efficacia riscontrabile nel contesto.
Punti di forza e limiti di “Fin che la barca va”
Chiambretti percorre il Tevere, facendo sul fiume quello che potrebbe fare benissimo altrove. Ecco allora che alla barca va associata una metafora: “La barca siamo noi che viaggiamo sul fiume della vita con grande precarietà”. Ma quando venerdì il Tevere è stato dichiarato innavigabile dalla Protezione Civile per colpa del maltempo, obbligando il padrone di casa a interpellare Giovanna Botteri dal ponte Cavour, è stato possibile analizzare il programma ‘al netto’, scoprendo che sostanzialmente nulla era cambiato.
La forza di “Fin che la barca va” sta unicamente nel panorama suggestivo ed inedito che se da una parte concede, dall’altra per paradosso toglie, limitando Chiambretti e i suoi ospiti all’immobilismo fisico e ad una solitudine maggiormente percepita. Il difetto, infatti, sta nell’assenza di ‘densità’, a cui si somma la mancanza di distrazioni. Chiambretti, munito di formidabile dialettica, è al contempo privato di quella sorta di ‘caos ordinato’ che gli impedirebbe di restare legato a doppio filo allo stato di forma dell’invitato.
“Ho la mia griffe, qualcuno confonde questo concetto pensando che faccia sempre la stessa trasmissione, ma posso assicurare che di uguale ci sono io, che ho la continuità nel mio stile”, affermò Chiambretti qualche tempo fa a TvBlog, sottolineando come amasse disegnare abiti su misura “che devono avere per forza un elemento che si ripete”. Quest’ultimo vestito, seppur luccicante, non fa eccezione.
Fonte : Today