Perché le terre rare non piacciono alla Borsa quanto alla politica

“Avere un giacimento è un fattore strategico”

“È vero che le terre rare sono strategiche e imprescindibili, però alcune di queste materie prime risentono di diversa intensità di accelerazione sul tema della transizione energetica e soffrono perché l’Europa sta cominciando a frenare, concentrandosi più su difesa e infrastrutture”, mette in chiaro Antonio Cesarano, chief global strategist della banca di investimenti Intermonte, che segue da vicino l’evoluzione del mercato. La politica spinge la finanza a rallentare, ma alla base del calo generalizzato c’è anche un tema industriale: un eccesso di capacità produttiva della Cina in settori collegati ai minerali strategici, come quello delle auto elettriche e delle batterie. “Pechino – sottolinea Cesarano – ha bisogno di trovare mercati di sbocco e con lo scenario geopolitico che si sta delineando appare un obiettivo non facile”.

Anche se in questa fase si rischia quindi un eccesso di estrazione di materiali critici per i quali potrebbe mancare un utilizzo finale, i sismografi registrano una sorta di disallineamento tra le ragioni del mercato e quelle della geopolitica. “In questa fase internazionale – evidenzia l’analista di Intermonte – c’è una corsa all’accaparramento dei siti produttivi. Avere un giacimento diventa un fattore strategico, perché nello scenario attuale il rischio più grosso è che le tensioni tra vari Paesi possano creare una carenza di terre rare, per il semplice fatto che un Paese non esporta più o esporta molto meno”. Un pericolo, sottolinea Cesarano, che in futuro “può creare dei colli di bottiglia nell’industria”.

Una fase turbolenta

L’impulso geopolitico non si traduce però in un valorizzazione delle imprese. “Le aziende scontano tutti i timori di una fase molto turbolenta, con l’accaparramento strategico di quelli che sono i siti produttivi”. Ma non solo perché dalla scoperta di un giacimento alla remunerazione degli azionisti possono passare mesi, se non anni: “L’entrata in produzione di un sito non è immediata. Il rischio è di investire per lo sfruttamento di un giacimento che poi entra in funzione quando semmai la domanda rallenta, riducendo il flusso di ricavi attesi rispetto al preventivato”.

Per questo nelle sale operative si predica prudenza e si trattano a saldo le azioni. “Un investimento nelle terre rare, se è un investimento di medio e lungo termine, può essere corretto; nel breve si va più incontro a quelle che sono le fluttuazioni, mette in guardia Cesarano. Del resto, ricorda l’analista, l’Etf che replica l’andamento dell’indice Global Earth e che permette di fatto di investire su tutto il comparto “è in trend calante da diversi anni. Siamo davanti a un paradosso – chiosa – c’è l’esigenza di minerali strategici, ma se c’è un eccesso di offerta i prezzi delle aziende del settore possono calare”.

Fonte : Wired