Gabriele Mainetti ha una grande conoscenza del cinema d’arti marziali asiatico, dei suoi registi, degli attori, delle attrici e degli atleti, ma anche della sua storia: di come è nato il wuxiapian (il genere stilizzato in cui gli artisti marziali volano usando cavi), di come poi si sia passati al gongfupian e infine al gun fu, da John Woo a John Wick. Anche per questo sa bene che il problema numero uno è trovare un’atleta per il ruolo del protagonista e poi un coreografo d’arti marziali che non sia italiano.
Qualcuno voleva provare con attori o attrici che non siano marzialisti?
“Guarda ho provinato diverse attrici internazionali, anche note, ma non era il caso. La cosa fondamentale è fare le cose più o meno davvero. Quindi serve un’atleta. Così sono partito per la Cina: volevo fare come Chocolate, il film thailandese per il quale il regista Prachya Pinkaew ha trovato un’artista marziale che nessuno conosceva. E pensa che alla fine invece è stato un organizzatore generale italiano con cui stavo lavorando per una pubblicità a raccontarmi di aver collaborato a un film cinese che aveva una parte girata a Roma, e di aver conosciuto una stuntwoman formidabile: Yaxi Liu. Lei è bella, ha una grande intensità quando recita e anche esperienza: è stata la controfigura della protagonista nel live action di Mulan. Perfetta”.
La cosa impressionante non è solo lei, che effettivamente fa tutto quello che deve fare con standard da film d’arti marziali cinesi, ma sono le coreografie! Spesso si vedono film americani—quindi prodotti e realizzati bene—nei quali, però, l’azione è noiosa e tutta uguale. Qui invece è varia, divertente, piena di invenzioni e trovate!
“Lo stunt coordinator viene da Londra e lavora molto in America. Si chiama Trayan Milenov-Troy e ha lavorato a Rogue One e Mission: Impossible. Gli stuntmen che si scontrano con la protagonista, invece, vengono dalla Cina. Avevamo anche vagliato un coreografo molto bravo, che lavora con Jackie Chan, ma già Yaxi Liu non parla inglese, solo cinese e anche lui parla solo cinese. Sarebbe stato troppo, temevo che la barriera linguistica diventasse un ostacolo troppo grande”.
Fonte : Wired