Northvolt è ufficialmente fallita e sarà divisa. Il sogno europeo di competere con i giganti asiatici nel settore delle batterie elettriche si è infranto mercoledì 12 marzo, quando l’azienda svedese ha presentato istanza di fallimento nel proprio paese d’origine.
L’azienda, fondata nel 2016 da ex manager di Tesla, tra cui l’italiano Paolo Cerruti, era considerata fino a poco tempo fa la migliore speranza europea per produrre batterie nel continente e sostenere la transizione verso i veicoli elettrici. Una missione strategica che le aveva permesso di raccogliere investimenti per ben 13 miliardi di dollari, diventando così la startup meglio finanziata dell’Unione europea. Tra i principali investitori figuravano nomi di grande rilievo: Volkswagen il principale, poi colossi del calibro di Goldman Sachs e BlackRock, ma anche la Banca europea per gli investimenti e diversi istituti finanziari europei, inclusa Intesa Sanpaolo. Un parterre che testimoniava la fiducia riposta nel progetto industriale, al punto che lo stabilimento di Skellefteå, situato nei pressi del Circolo polare artico in Svezia, era diventato il simbolo delle aspirazioni europee di autonomia strategica nel settore.
La crisi improvvisa di Northvolt e i problemi strutturali
Il fallimento di Northvolt appare particolarmente sorprendente anche per la rapidità con cui si è dipanato, tanto che poco più di un anno fa l’azienda aveva avviato la costruzione di due nuovi impianti in Germania e Canada, sostenuti da generosi incentivi governativi.
Tuttavia nel 2024 la crisi del mercato delle auto elettriche ha completamente modificato lo scenario. Ad aggravare la situazione sono emersi significativi problemi manageriali e industriali all’interno dell’azienda: la produzione, infatti, non era mai veramente decollata, rimanendo dipendente da macchinari e tecnici cinesi.
A ciò si sono aggiunti un preoccupante deficit di liquidità e progetti di espansione considerati troppo ambiziosi. Fatale è stato il colpo inferto dalla casa automobilistica tedesca Bmw, che ha cancellato un contratto di fornitura dal valore di 2,15 miliardi di dollari, privando così Northvolt di uno dei suoi clienti più importanti e di entrate fondamentali per la sopravvivenza.
A novembre, dopo aver ridotto il personale del 20%, la nuova dirigenza aveva fatto ricorso alla legge fallimentare americana (Chapter 11) perché l’azienda aveva filiali negli Stati Uniti. Questa mossa consente di bloccare temporaneamente i creditori mentre si tenta il salvataggio, dando all’azienda alcuni mesi di tempo per trovare nuovi investitori. Tuttavia, nonostante questi tentativi, anche un prestito di 5 miliardi di dollari concesso dall’Unione europea lo scorso anno per espandere la produzione non è stato sufficiente a contrastare le sfide che l’azienda stava affrontando.
Le conseguenze e il futuro incerto di Northvolt fuori dall’Europa
Ora spetterà a un curatore fallimentare nominato dal tribunale svedese gestire il processo di vendita delle attività e degli asset dell’azienda. Scania, produttore svedese di camion e autobus che era il primo cliente di Northvolt, potrebbe essere interessata all’acquisizione. Intanto, però, le filiali di Northvolt in Germania e Nord America non rientrano nelle procedure fallimentari svedesi e i progetti in questi paesi proseguono per il momento.
Il fallimento di Northvolt rappresenta un duro colpo per l’Europa nella sua ambizione di competere con i rivali asiatici che dominano il mercato globale. Attualmente, i produttori europei di automobili ottengono le loro batterie principalmente da aziende come Lg Energy solution e Samsung della Corea del Sud, oltre che dal leader mondiale del settore, Catl della Cina. Northvolt aspirava a conquistare il 25% del mercato europeo delle batterie entro il 2030, un obiettivo che ora appare definitivamente tramontato. Questo “fallimento di sistema” fa suonare un preoccupante campanello d’allarme sulle politiche industriali europee: in settori già maturi come quello delle batterie elettriche, inseguire i campioni cinesi si sta rivelando un’impresa estremamente difficile.
Fonte : Wired