Sono migliaia le specie animali che rischiano di sparire per sempre nel giro di pochi decenni a causa delle attività umane. Perdita di habitat, diffusione di specie invasive e crisi climatica sono spesso considerati tra i principali fattori del declino della biodiversità in tutto il mondo, ma nella corsa contro il tempo per frenare la sesta estinzione di mass, c’è un ostacolo troppo sottovalutato e sotto gli occhi di tutti: il traffico online di specie protette e a rischio.
Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Miami, pubblicato recentemente su Biological Conservation, mette in luce proprio come la vendita online di centinaia di specie animali a rischio sia molto più diffusa di quanto pensiamo. Squali e altre specie protette vengono liberamente venduti su centinaia di siti di e-commerce e social network. Un commercio nascosto in bella vista che minaccia tantissimi animali rari o seriamente a rischio.
Il commercio nascosto di squali e altre specie minacciate
Quando pensiamo ai trofei di caccia e al commercio illegale di animali la maggior parte di noi crede riguardi soprattutto animali terrestri uccisi per le loro pellicce, denti o corna. Eppure, come ha sottolineato Jennifer Jacquet, docente all’Università di Miami e coautrice dello studio, «il nostro lavoro mostra che squali e razze costituiscono una parte enorme di questo mercato». E i numeri parlano chiaro: tra le prime dieci specie minacciate più vendute online, nove sono squali. In cima alla classifica troviamo lo squalo mako e il mako dalle pinne lunghe, seguiti da squalo grigio, il volpe e lo squalo martello smerlato.
Ma la portata del commercio illegale molto oltre. Gli autori hanno monitorato per 15 settimane la vendita online di animali in pericolo, analizzando oltre 148 marketplace in lingua inglese. Hanno così sviluppato un software per scandagliare le offerte relative a 13.267 specie a rischio secondo la IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) e a 706 specie incluse nell’Appendice I della CITES, la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate. Dopo aver eliminato gli annunci doppi e filtrato i risultati, lo studio ha individuato ben 546 inserzioni contenenti animali minacciati o soggetti a restrizioni commerciali. Tra queste:
- 47 annunci riguardavano specie “In pericolo critico”;
- 251 annunci trattavano specie “In pericolo”;
- 236 annunci pubblicizzavano specie “Vulnerabili“.
Un mercato fuori controllo
Oltre il 60% delle inserzioni riguardava parti di squalo. Il resto era composto da mammiferi (circa un quarto delle inserzioni), seguiti da pesci ossei, uccelli, rettili e, in percentuali minori, razze e invertebrati. Questa ricerca si distingue dalle precedenti proprio per la sua ampiezza: mentre altri studi si sono concentrati su gruppi specifici di animali, in questo caso i ricercatori hanno analizzato migliaia di specie diverse. Spencer Roberts, altro coautore dello studio, ha infatti sottolineato l’importanza di questo tipo di approccio: «Abbiamo cercato di coprire l’intero spettro del commercio di specie minacciate online». E il problema potrebbe essere ancora più grande di quanto appare.
Gli autori hanno infatti analizzato solo il web aperto e gli annunci pubblici, escludendo il dark web, un’area chiaramente più difficile da monitorare. Secondo Jacquet, la società sottovaluta ancora troppo il peso del commercio di animali selvatici: «Siamo preoccupati per i cambiamenti climatici e la distruzione degli habitat, ma la caccia e il commercio restano la principale causa di declino delle specie». Contrastare questa minaccia rimane però estremamente complicato. Le piattaforme online si presentano infatti solo come semplici intermediari tra acquirenti e venditori, spesso sfuggendo alle responsabilità legali relative a questi annunci.
Come fermare il traffico di animali online
Tuttavia, secondo Jacquet, una possibile arma per tentare di contrastare questo fenomeno potrebbe essere lo stigma sociale e l’attribuzione di una connotazione negativa a certi comportamenti: «Una cerchia ristretta di persone alimenta questo mercato per il proprio piacere, ma le conseguenze ricadono sull’intero ecosistema. Dobbiamo rendere il commercio di fauna selvatica culturalmente inaccettabile, come lo è diventata la caccia alle balene». Alcune piattaforme hanno comunque iniziato a introdurre alcune restrizioni, ma gli autori vogliono verificare se queste misure stiano realmente funzionando oppure no.
Inoltre, l’obiettivo degli scienziati è anche quello di affinare gli strumenti di monitoraggio per aiutare le piattaforme a individuare e bloccare le vendite di specie protette. Jacquet, alla fine, ha anche lanciato una provocazione: «Oggi nessuno accetterebbe di vedere parti di balena in vendita online, perché è diventato un tabù. Perché non possiamo raggiungere lo stesso risultato per gli squali e altri animali in pericolo?». Non sarà semplice, vista anche la percezione che la maggior parte delle persone ha degli squali, ma quel che è certo che il commercio online di specie protette e a rischio è un fenomeno sottovalutato e che deve essere contrastato.
Bibliografia
Fonte : Fanpage