Teheran: 40 anni di carcere a tre cristiani convertiti. Fra loro una donna incinta

Abbas Soori, Mehran Shamloui e Narges Nasri, circa a metà della gravidanza, condannati senza attenuanti. Fra le accuse “attività contraria alla legge islamica”, appartenenza a “gruppi di opposizione” e “propaganda contro lo Stato”. In aggiunta pene accessorie fra cui multe, privazione dei diritti civili e divieto di espatrio. Rilasciata dietro cauzione di 40mila dollari Somayeh Rajabi.

Teheran (AsiaNews) – Dalla Repubblica islamica nuovi casi di persecuzione a sfondo confessionale contro la minoranza cristiana: secondo quanto riferisce Article18, sito specializzato nel documentare abusi e limiti in tema di culto in Iran, tre convertiti dall’islam fra i quali una donna incinta del suo primo figlio sono stati condannati a oltre 40 anni di carcere per accuse legate al loro credo religioso e alle riunioni di culto. Inoltre, la condanna della futura mamma è stata comminata dai giudici del tribunale proprio l’8 marzo scorso, in concomitanza con la Giornata internazionale della donna. 

A finire dietro le sbarre sono Abbas Soori, Mehran Shamloui e Narges Nasri (nella foto), che è circa a metà della sua gravidanza, condannati senza alcuna attenuante dal giudice Iman Afshari del Tribunale rivoluzionario islamico, noto anche come Tribunale rivoluzionario. Il magistrato è famoso per la durezza delle sentenze e i molti verdetti comminati ai danni di minoranze e attivisti.

Narges, 37 anni, ha ricevuto la condanna più severa a 10 anni di prigione per “attività di propaganda contraria alla legge islamica”, più altri cinque per appartenenza a un “gruppo di opposizione” (come vengono considerate le House Church) e un ulteriore anno per “propaganda contro lo Stato”. In questo caso, alla base della sentenza – e come “prova” del crimine – vi sarebbero post e messaggi pubblicati sui social media a favore del movimento “Donne, Vita, Libertà” fondato in risposta all’uccisione di Mahsa Amini per non aver indossato correttamente l’hijab, il velo islamico.  

Abbas, 48 anni, ha ricevuto un totale di 15 anni di carcere, di cui 10 per “attività di propaganda” e cinque per appartenenza a un “gruppo di opposizione”. Infine Mehran, 37 anni, ha ricevuto una condanna a otto anni per la prima accusa e a due anni e otto mesi per la seconda.

Tutti e tre sono stati inoltre privati per anni dei diritti sociali come salute, lavoro o istruzione: in particolare, il giudice ha affibbiato 15 anni ciascuno per Narges e Abbas, e un totale di 11 anni per Mehran. Inoltre, Narges e Abbas sono stati multati per 330 milioni di tomans (3.500 dollari) ciascuno, e Mehran per 250 milioni (2.750 dollari). Ai primi due imputati è stato inoltre vietato di far parte di qualsiasi gruppo, di risiedere nella loro provincia natale di Teheran o di lasciare la Repubblica islamica per ulteriori due anni dopo il loro rilascio.

I tre cristiani sono stati arrestati nell’autunno del 2024 nel corso di incursioni concomitanti da parte di agenti dei servizi segreti nelle loro case a Teheran, durante le quali sono stati confiscati effetti personali tra cui Bibbie, croci e strumenti musicali. Fra l’altro Mehran è un musicista e l’attrezzatura che gli uomini dell’intelligence gli hanno confiscato aveva un valore di circa 5.500 dollari. I cristiani sono stati poi trasferiti nella Sezione 209 della prigione di Evin, che è sotto il controllo proprio del ministero dell’Intelligence.

Un mese più tardi, in seguito a una serie di lunghi e intensi interrogatori, sono stati rilasciati su cauzione per un valore di oltre 20mila dollari ciascuno. Il 15 febbraio scorso si è svolta l’udienza presso la sezione 26 del Tribunale rivoluzionario di Teheran; agli imputati sono stati contestati i reati di “appartenenza a gruppi di opposizione”, “propaganda contro il sistema” e “attività di propaganda contraria alla legge islamica attraverso relazioni con l’estero”, rispettivamente ai sensi degli articoli 499, 500 e 500 bis del Codice penale. 

Almeno altri 10 cristiani sono stati arrestati nello stesso giorno durante raid coordinati in case e abitazioni private in tutto il Paese, comprese le città di Karaj (vicino a Teheran), Mashhad nel nord-est e Shiraz e Bandar Abbas nel sud. Abbas era già stato arrestato nel 2020 e successivamente condannato insieme a un’altra cristiana convertita, Maryam Mohammadi, e al loro pastore, un iraniano-armeno, Anooshavan Avedian. Abbas e Maryam hanno ricevuto pene non detentive, tra cui il divieto di viaggiare, l’esilio dalla provincia di Teheran e il divieto di far parte di qualsiasi gruppo politico o sociale, mentre al 60enne Anooshavan è stata inflitta una pena detentiva di 10 anni. Nel settembre scorso è stato assolto, dopo aver scontato poco più di un anno della sua condanna.

I casi di persecuzioni contro i cristiani rappresentano una ulteriore conferma del fatto che in Iran vi sia una “netta regressione” della libertà religiosa, in linea con la crescente repressione delle autorità legata alle proteste divampate in seguito alla morte di Mahsa Amini per mano della polizia della morale. Un dato emerso anche nei rapporti della US Commission on International Religious Freedom, che invitano a riclassificare la Repubblica islamica come “nazione di particolare preoccupazione (Cpc)” per le sue “violazioni sistematiche ed eclatanti”.

Infine, sempre dall’Iran giunge in questi giorni la notizia della scarcerazione di Somayeh Rajabi, che ha lasciato la prigione di Mati Kola l’8 marzo scorso, giorno in cui gli altri tre cristiani venivano condannati. Arrestata il 6 febbraio scorso durante un raid dei Pasdaran in borghese ad un incontro di preghiera nella provincia di Mazandaran, la donna è stata liberata dietro pagamento di una cauzione di oltre 40mila dollari. Una cifra consistente per una popolazione – e un Paese – colpiti da una grave crisi economica. Il direttore di Article18 Mansour Borji sottolinea che “fissare importi esorbitanti come cauzione per cristiani detenuti esclusivamente per aver esercitato il loro legittimo diritto alla libertà religiosa è una tattica crudele e opprimente. Mentre milioni di iraniani lottano con una grave austerità, il governo – conclude – sfrutta le loro difficoltà finanziarie per punire ulteriormente e mettere a tacere le minoranze religiose”.

Fonte : Asia