La riapertura delle indagini sul delitto di Garlasco rimette inevitabilmente in discussione la sentenza con cui la Cassazione condannò in via definitiva a 16 anni Alberto Stasi per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi.
Nella nuova indagine della Procura di Pavia, Andrea Sempio, amico di Marco Poggi, il fratello di Chiara, rientra in scena come indagato per omicidio in concorso con ignoti o con Stasi: verranno rianalizzate con metodi più avanzati tutte le tracce repertate nella villetta di Garlasco e sul corpo della vittima nell’agosto del 2007 e rimesse sotto la lente dell’accusa quelle telefonate, ritenute sospette, fatte da Sempio a casa Poggi mentre l’amico Marco era in vacanza.
L’eventuale “match” con il Dna di Sempio non basta a farne l’assassino
L’eventuale corrispondenza con il Dna di Sempio non sarà sufficiente a identificarlo come l’assassino, ma la sua clamorosa reiscrizione nel registro degli indagati evidenza inevitabilmente come, nonostante le sentenze di condanna nei confronti di Stasi – quelle che la mamma di Chiara Poggi afferma di voler “rispettare” – alcuni tasselli siano sempre mancati. In primis l’individuazione di un movente certo per il quale Stasi avrebbe ucciso la sua fidanzata. Si parlò di un gesto di “rabbia”, di “dolo d’impeto, senza alcuna programmazione”.
La riapertura delle indagini sul caso va inevitabilmente a riabilitare il dubbio e quelle tesi innocentiste su Stasi che hanno accompagnato la lunga vicenda giudiziaria contro chi, in un “processo parallelo” fortemente mediatico, lo ha da subito identificato come “il colpevole perfetto”.
Le prime indagini caratterizzate da “errori di superficialità”
Nelle motivazioni di condanna depositate dalla Suprema Corte nel giugno 2016, la giudice Rosa Pezzullo scrive che Stasi andava considerato colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio”. Alla luce della riapertura delle indagini, è lecito ritenere che gli elementi su cui è stata basata l’eliminazione di ogni dubbio di innocenza, possano oggi essere riconsiderati.
I nuovi accertamenti contro Sempio mettono in luce indirettamente alcune carenze che furono riscontrate nelle prime indagini del 2007: “Non limpide e caratterizzate da errori e superficialità”, ammettono gli stessi giudici della Cassazione dieci anni dopo. C’è l’elemento della bicicletta nera da donna sequestrata 7 mesi dopo, e delle oltre 20 persone che entrarono nella villetta dei Poggi prima dei rilievi dei Ris, che per questo secondo lo stesso procuratore generale della Cassazione sarebbero “non affidabili”.
La vicenda giudiziaria contro Alberto Stasi “non sembra un grande esempio di esercizio del ragionevole dubbio”, sostiene Gabriella Ambrosio, autrice del libro “Il garbuglio di Garlasco”, pubblicato da Rubbettino nel 2022 e “mai contestato in alcun dettaglio”, sottolinea.
“Quando è stato cambiato l’orario della morte della vittima, nessuno ha più richiamato tutte le persone sentite in precedenza per chiedergli cosa stessero facendo in quel momento”, dice Ambrosio soffermandosi su una delle presunte carenze dell’indagine. “Ovviamente le sentenze le fanno i giudici. Io rilevo però il forte impatto che l’esposizione mediatica dell’omicidio ha avuto anche sulla vicenda giudiziaria”.
“Il ‘bocconiano di ghiaccio’ che non si comportava come ci si aspettava”
Contro Stasi “c’è stato un processo parallelo, che, per quanto ci sia sempre in questi casi, è stato particolarmente feroce e sicuramente ha condizionato molto”, afferma Ambrosio. “La personalità di Alberto Stasi non ha aiutato. È stato da subito rinominato con un certo senso di disprezzo ‘il bocconiano’, il ‘bocconiano dagli occhi di ghiaccio’. Non ha aiutato il fatto che lui non si comportava come noi ci aspettavamo. Nelle interviste era freddo, controllato, su di lui c’è stato da subito un forte giudizio morale. Aveva visto la sua fidanzata in fondo alle scale della cantina, nel sangue, e invece di lanciarsi su di lei come si vedrebbe in un film, esce fuori di casa”.
“In seguito ha spiegato che aveva pensato che nella stanza ci fosse ancora l’assassino. Per questo c’è stato un forte giudizio morale, ma bisognerebbe capire come ci si comporti e quale reazione scatti davvero in momenti come quelli. Ma comunque non si tratta una prova”, sottolinea Ambrosio.
Le chiamata di Stasi al 118 e il “vuoto” sul civico
Anche per quanto riguarda la famosa telefonata al 118, in cui afferma che c’è una “persona” morta, invece di parlare della sua fidanzata, secondo Ambrosio bisogna notare che “Stasi è una persona molto razionale, e quella chiamata è stata fatta secondo i canoni con cui ti insegnano a chiamare il 118. Bisogna poi dire che nella stessa telefonata non riesce a ricordare il numero civico di casa Poggi. Si tratta di un possibile vuoto di una persona che può essere in stato di choc”. Secondo Ambrosio “non si è dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che Alberto Stasi fosse un assassino. Ma che era quel genere di persona che può essere un assassino”.
Fonte : Today