Analisi del Dna in ambito forense, come si sono evolute negli ultimi 20 anni?

Da vent’anni a questa parte le tecniche di analisi del Dna per scopi forensi si sono evolute notevolmente. Un argomento che oggi è diventato attuale a seguito della riapertura del caso di omicidio di Chiara Poggi, avvenuto nel 2007 a Garlasco. In cronaca si parla infatti di tecniche di ultima generazione che dovrebbero essere impiegate per analizzare nuovamente i campioni di Dna rilevati al tempo sotto le unghie della vittima. Senza entrare nei dettagli del caso Poggi (specifichiamo che l’ultima perizia genetica relativa al suo omicidio risale al 2016), vediamo in generale alcune delle caratteristiche di queste tecniche di ultima generazione, e cosa è possibile fare oggi rispetto al passato.

Maggiore sensibilità

Sicuramente, negli ultimi venti anni quello che è cambiato in termini di analisi del Dna per scopi forensi è da un lato la sensibilità delle tecniche e dall’altro la rapidità delle analisi. Come spiega una review firmata da Penelope Haddrill, del Centro di scienze forensi dell’Università di Strathclyde (Regno Unito), l’introduzione delle cosiddette tecnologie di Next Generation Sequencing (Ngs) ha rivoluzionato questo ambito della biologia. Le Ngs consentono infatti di ottenere moltissimi sequenziamenti con una singola corsa. I kit di ultima generazione, si legge ancora nella review, permettono di analizzare diversi tipi di marker, in alcuni casi anche il Dna mitocondriale, quello che viene ereditato unicamente per via materna. Globalmente, le Ngs hanno il vantaggio di permettere l’analisi di campioni di Dna più limitati in termini di quantità e qualità rispetto a quello che era possibile fare in passato.

La questione dei campioni misti

Anche le cosiddette tecniche di analisi Str (Short Tandem Repeat), che consentono di confrontare una sequenza di Dna con un’altra, si sono evolute in termini di sensibilità, fatto che garantisce oggi, rispetto al passato, maggiori possibilità di recuperare un singolo profilo genetico a partire da un campione contenente più Dna diversi. Su quest’ultimo fronte ha influito positivamente anche lo sviluppo di software sempre più specifici e avanzati, che consentono di effettuare calcoli statistici molto complessi e che nel tempo stanno migliorando le possibilità di interpretazione dei risultati di analisi relative a campioni misti.

Poi certamente molto dipende dalla qualità del campione e dal modo in cui è stato conservato nel tempo, come ha confermato a Wired Giuseppe Iacovacci, relatore di genetica forense presso l’Università La Sapienza di Roma e Capitano presso l’Arma dei Carabinieri: se un reperto è stato ben acquisito, ben conservato ed è ancora disponibile, l’impiego delle tecniche odierne potrebbe permettere di estrapolare maggiori informazioni rispetto a quello che era possibile fare in passato. Ma questo dipende chiaramente dalla tipologia e dalla qualità del campione.

Fonte : Wired