La Corte di Cassazione italiana ha recentemente stabilito che le conversazioni su WhatsApp possono essere utilizzate come prove documentali nei procedimenti civili, aprendo a controlli fiscali che potrebbero avvalersi degli screenshot delle chat veicolate dalla popolare applicazione di messaggistica istantanea di Meta.
La sentenza della Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un telefono cellulare possono essere utilizzati come prove documentali nel processo civile, salvo contestazione di autenticità.
La Corte ha precisato che tali messaggi rientrano nelle riproduzioni informatiche e rappresentazioni meccaniche disciplinate dall’art. 2712 del Codice Civile, acquisibili anche tramite semplici screenshot.
“I messaggi “whatsapp” e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di “whatsapp” mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi”.
Il procedimento che ha portato alla sentenza
La sentenza n. 1254 del 18 gennaio 2025 della Corte di Cassazione riguarda una controversia che ha avuto origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da una società di serramenti per il pagamento di 28.050 euro nei confronti di un cliente. Quest’ultimo si è opposto sostenendo di aver già versato 10.000 euro e di non aver mai concordato l’importo richiesto.
In primo grado, il Tribunale di Pavia ha accolto l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo per mancanza di prove sufficienti a supporto della richiesta della società. In appello, la Corte di Milano ha invece ribaltato la decisione, ritenendo valide le prove presentate dall’azienda, tra cui una conversazione su WhatsApp in cui il cliente confermava l’importo dovuto.
Il cliente ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando l’utilizzabilità del messaggio WhatsApp come prova documentale.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che i messaggi conservati su un telefono possono costituire prove documentali nei procedimenti civili, se acquisiti tramite screenshot e se la loro autenticità non viene disconosciuta.
Di conseguenza, la sentenza amplia la possibilità di utilizzo delle chat nei procedimenti giudiziari e fiscali.
Implicazioni per i controlli fiscali
Le autorità competenti, come l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza, possono ora considerare le chat WhatsApp come prove documentali durante le verifiche.
Questo significa che, durante un’ispezione, i dispositivi elettronici personali e aziendali possono essere esaminati per individuare conversazioni rilevanti ai fini fiscali.
Ma attenzione, la semplice presentazione di screenshot di messaggi potrebbe non essere sufficiente a dimostrare con certezza transazioni economiche o altri fatti rilevanti ai fini fiscali.
A questo proposito l’Agenzia delle Entrate richiede delle prove solide e inequivocabili, dunque potrebbe richiedere ulteriori elementi probatori per confermare l’autenticità e l’attendibilità dei messaggi, come ad esempio perizie tecniche per verificare l’integrità dei dati, una documentazione bancaria o contabile a supporto delle informazioni contenute nei messaggi e testimonianze di terzi.
Criteri di validità delle chat come prove
Perché una chat WhatsApp sia considerata una prova valida, devono essere soddisfatti alcuni criteri fondamentali tra cui l’identificabilità del dispositivo – i messaggi devono provenire da un dispositivo chiaramente attribuibile a una specifica persona – l’Integrità del contenuto – il contenuto della chat deve essere integro e non alterato – e l’acquisizione tramite screenshot anche se una chat è stata eliminata.
Se soddisfa questi requisiti, insomma, uno screenshot salvato da un altro soggetto può essere considerato valido come prova documentale.
Precedenti giurisprudenziali
La decisione della Cassazione si inserisce in un percorso giurisprudenziale che negli ultimi anni ha riconosciuto sempre più valore alle prove digitali.
Già nel 2017, la Cassazione penale aveva sottolineato l’importanza di acquisire il supporto informatico originale in caso di contestazione, mentre nel 2023 le Sezioni Unite avevano equiparato gli screenshot a prove documentali, purché corroborate da elementi di riscontro.
Criticità e considerazioni sulla privacy
Nonostante i vantaggi per i tribunali e il Fisco, la recente sentenza della Cassazione ha suscitato alcune perplessità.
Il rischio di abusi o errori è concreto: uno screenshot potrebbe essere estrapolato dal contesto, interpretato in modo distorto o addirittura falsificato.
Inoltre, la privacy degli utenti potrebbe risultare compromessa, considerando che WhatsApp viene percepito come uno strumento capace di proteggere le conversazioni degli utenti, grazie alla sua crittografia end-to-end.
La necessità di bilanciare il diritto alla riservatezza con l’interesse pubblico alla lotta all’evasione fiscale sarà un tema centrale nei futuri dibattiti giuridici.
Fonte : Repubblica