Elezioni in Groenlandia, vincono gli independentisti dalla Danimarca. E ora?

Concluse le elezioni in Groenlandia. Dalle urne dell’isola artica, sotto i riflettori internazionali per le mire espansionistiche del presidente americano Donald Trump, è uscito vincitore a sorpresa il partito di centro Demokraatit con il 29,9% dei consensi, in forte ascesa rispetto al 9% del 2021. Battuti i partiti della coalizione di governo uscente, gli indipendentisti di sinistra di Inuit Ataqatigiit e i socialdemocratici di Siumut, crollati rispettivamente al 20% e al 16%. Al secondo posto si sono piazzati gli indipendentisti radicali di Naleraq con il 24,5%, mentre gli unionisti di Atassut hanno mantenuto il 7%.

Al centro del voto c’è ancora una volta il dibattito sull’indipendenza dalla Danimarca. L’elettorato ha premiato la posizione più cauta di Demokraatit, che propone un percorso graduale verso una maggiore autonomia, basato sul rafforzamento economico del paese prima di qualsiasi rottura con Copenaghen.

Le elezioni, dominate dalle pulsioni indipendentiste, sono state ravvivate anche dalle ripetute dichiarazioni di Trump sulla volontà di “assumere il controllo” dell’isola in virtù della sua importanza strategica come avamposto chiave sulle rotte marittime che l’Artico sta aprendo con lo scioglimento dei ghiacci. Ma soprattutto per le immense risorse minerarie (terre rare, uranio, zinco, oro, rubini) che il sottosuolo custodisce sotto la coltre di ghiacci perenni.

Groenlandia, la questione dell’indipendenza

La Groenlandia – abitata oggi da circa 56mila abitanti – gode dal 1979 di un’autonomia molto ampia pur restando parte del Regno di Danimarca. Il governo di Nuuk, la piccola capitale affacciata su un fiordo, ha competenza esclusiva su quasi tutte le politiche interne, mentre Copenaghen mantiene il controllo su difesa, affari esteri e politica monetaria, erogando sussidi per oltre 500 milioni di euro l’anno, quasi metà del bilancio statale groenlandese.

Questa parziale indipendenza è la questione per eccellenza nella politica dell’isola e così è stato anche nelle ultime elezioni. La questione è complessa: quasi tutti i partiti locali, seppur con sfumature diverse, sono concordi sulla necessità di recidere prima o poi il cordone ombelicale con la “madrepatria” danese. Ma la vittoria di Demokraatit segna una battuta d’arresto per i fautori di un’indipendenza in tempi brevi come Naleraq o per la coalizione rosso-verde uscente che pure manteneva un approccio prudente. Il leader di Demokraatit Jens-Frederik Nielsen è stato molto chiaro nelle sue intenzioni: “Il nostro obiettivo non è l’indipendenza domani mattina, ma costruire fondamenta economiche robuste per un’emancipazione reale e sostenibile”. In realtà tutte le forze più favorevoli alla secessione riconoscono che un distacco immediato non sarebbe sostenibile, sia per la dipendenza economica dai sussidi danesi sia per i legami con la comunità groenlandese residente in Danimarca (circa 18mila persone su una popolazione totale di 56mila). L’obiettivo principale del nuovo governo, che probabilmente sarà guidato da Demokraatit, sarà quindi quello di ottenere maggiore autonomia senza compromettere la cooperazione con Copenaghen.

Il contesto sociale

Il risultato delle elezioni in Groenlandia si inserisce in un più ampio processo di revisione del passato coloniale danese, un tema che negli ultimi anni è emerso con forza nel dibattito pubblico. La Groenlandia, sotto il controllo della Danimarca per secoli, ha vissuto profonde trasformazioni imposte dall’esterno. Tra gli episodi più controversi ci sono la cristianizzazione forzata degli Inuit nel XVIII secolo da parte del missionario Hans Egede, la sterilizzazione non consensuale di donne indigene tra gli anni Sessanta e Settanta e la separazione forzata di bambini dalle loro famiglie negli anni ’50 per programmi di “rieducazione”. Questi interventi hanno avuto un impatto duraturo sulla società groenlandese, contribuendo alla disgregazione delle strutture tradizionali basate su caccia e pesca e portando a gravi problemi sociali, tra cui uno dei tassi di suicidio più alti al mondo, soprattutto tra i giovani.

La questione groenlandese ha infatti una forte componente culturale. Per anni la politica dell’isola ha chiesto un maggiore impegno da parte della Danimarca, accusata di aver trascurato il territorio. Negli ultimi tempi, però, Copenaghen ha iniziato a prestare più attenzione, con investimenti militari significativi – ufficialmente per far fronte alle crescenti preoccupazioni sulla sicurezza, alimentate anche dalle dichiarazioni di Trump – e con misure volte a riconoscere meglio l’identità groenlandese. Tra queste, l’introduzione della traduzione simultanea per consentire l’uso del groenlandese in parlamento e l’abolizione di un controverso test per neogenitori, ritenuto discriminatorio nei confronti della popolazione locale e di altre minoranze.

Fonte : Wired