Schlein, se il partito non ti segue non vai da nessuna parte

Non spira un’aria di grande fiducia intorno alla segretaria del Pd Elly Schlein, e pare quasi un ricordo il clima di unità interna che ha accompagnato i primi due anni di vita della numero uno del Nazareno. Un clima invero abbastanza atipico per il Pd e per la sinistra in generale, da sempre abituata a lotte intestine senza pari.

Così mentre sui desk delle redazioni si depositano i risultati di un sondaggio SWG che dà il gradimento della segretaria Pd in calo (limitato – meno uno per cento – ma sempre in calo) da Strasburgo giunge la notizia che il gruppo Pd all’europarlamento ha votato sul Libro bianco per la Difesa e su ReArm Europe in buona parte in dissonanza contro le indicazioni della segreteria. Nonostante che negli ultimi giorni le pressioni del Nazareno verso gli eurodeputati dem fossero state fortissime e prolungate, con un pressing portato avanti dal capodelegazione Nicola Zingaretti e dalla stessa Schlein perché si arrivasse a una sintesi. Che evidentemente non c’è stata.

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Ora, senza voler drammatizzare troppo i due dati visto che la politica è così mobile per cui quello che è vero oggi diventa falso domani, sarebbe riduttivo disconoscere il momento di affanno della strategia dem scelta dalla segretaria, che non a caso si riflette sul gradimento espresso dai sondaggi. Considerando che su questi temi è in difficoltà anche la maggioranza (Meloni ha nel fianco la spina di Salvini), il primo dato che salta agli occhi è proprio l’incapacità del Pd a guida Schlein di approfittare dell’impasse meloniano. Il mezzo fuorigioco in cui è finita la Meloni nel suo sostegno a un Trump poi diventato mai così inviso dalle nostre parti (dai dazi all’Ucraina) pare non aver portato niente all’opposizione.

La fronda contro Schlein

Il secondo punto è la sfiducia di fatto pronunciata verso la segretaria da buona parte del gruppo degli eurodeputati su un tema centrale per la vita di un partito e più in generale dei cittadini (senza contare che il Pd è diviso anche sul referendum Jobs Act, altro argomento cruciale per un partito di sinistra). Fatto tanto più significativo perché i deputati europei non sono dei “nominati” come accade per i deputati nazionali, ma vengono eletti con le preferenze e rappresentano quindi espressione diretta, genuina, del “popolo” Pd.

Peraltro parliamo politici che a giugno scorso fecero un vero e proprio pieno di voti (Bonaccini, Decaro, Gori su tutti) e che quindi possiedono una propria forza intrinseca (insieme a quella di avere garantito il seggio fino al 2029, e non essere soggetti alla tagliola delle nuove liste che proprio la segretaria dovrà compilare nel 2027…).

Mettendo insieme tutti questi aspetti è chiaro che la Schlein qualche riflessione è forse il caso che da qui in avanti la faccia. Lei è stata eletta dalle primarie e si sente autorizzata a portare avanti le proprie idee – in questo caso orientate a un “pacifismo” spinto – ma se poi il partito non ti segue non vai da nessuna parte. Lo sanno bene gli ultimi segretari dem, mai durati troppo a lungo e sempre decaduti prima della fine del mandato.

Fonte : Today