La città proibita, la recensione del caleidoscopico film di Gabriele Mainetti

La tigre e il cuoco, Kung Fu all’amatriciana, Grosso guaio a Piazza Vittorio, Kill Bill all’Esquilino. Si può rinominare in tanti modi, tutti giusti, La città proibita, terzo film di Gabriele Mainetti che dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out continua a sorprendere il pubblico con un film del tutto inaspettato. La prima scena ci catapulta nella Cina rurale e ci ricorda la politica del figlio unico, per cui non era consentito avere due figlie femmine. Le giovani Yun e Mei, esperte di arti marziali grazie al padre, sono destinate a dividersi: la seconda (interpretata dalla fenomenale Yaxi Liu) cresce sempre nascosta dai genitori e una volta diventata adulta partirà alla ricerca di sua sorella, finita in un giro di prostituzione romano.

A Roma c’è anche la trattoria di famiglia in cui lavora sodo l’esausto cuoco Marcello (l’ottimo Enrico Borello), mentre sua madre Lorena (una malinconica Sabrina Ferilli) batte gli scontrini alla cassa e l’amico di famiglia, il boss Annibale (Marco Giallini, convincente nei panni di ciò che resta del Terribile di Romanzo Criminale) gestisce loschi affari. Anche in questa famiglia manca qualcuno: Alfredo, il papà di Marcello, interpretato da Luca Zingaretti, è fuggito per amore con una cinese più giovane di lui. Ecco che le strade di Mei e di Marcello si incroceranno, ma lui non sa che lei è una letale campionessa di kung fu, capace di mettere chiunque al tappeto, anche a colpi di grattugia.

Fonte : Wired