Il processo di Duterte all’Aja e l’effetto ‘divisivo’ fra i filippini

Nella notte l’ex presidente trasferito su un volo privato alla sede della Corte penale internazionale per rispondere dell’accusa di “crimini contro l’umanità”. Avvocati, familiari e sostenitori hanno cercato di fermarne la partenza. Il processo rischia di alimentare lo scontro interno fra le famiglie Duterte e Marcos. Sullo sfondo le elezioni di maggio. 

Milano (AsiaNews) – Colpito da un mandato di cattura della Corte penale internazionale (Cpi), ieri mattina l’ex presidente filippino Rodrigo Duterte è stato fermato su richiesta dell’Interpol all’atterraggio in arrivo da Hong Kong, dove aveva partecipato a un incontro dei lavoratori filippini. Nella nottata, a circa dodici ore dall’arrivo e nonostante il tentativo di fermarne la partenza dei suoi avvocati, dei familiari e di una folla di sostenitori raccolta all’esterno dello scalo militare di Villamor, Duterte si è imbarcato su un volo privato diretto all’Aja, sede della Cpi.

Qui lo attende un giudizio per “crimini contro l’umanità” commessi tra il 2011 e il 2019, quindi in parte nel suo ruolo di sindaco di Davao, principale metropoli del sud filippino, in parte durante il mandato presidenziale (2016-2022). Un procedimento che intende quindi fare luce ed eventualmente portare a una condanna su una serie di crimini commessi (e in parte ammessi, anche di mano propria) da Duterte, oggi 79enne. Essi riguardano la gestione violenta della legalità nella città di cui è stato sindaco per sette mandati e che, ancora oggi, lo vede candidato a un ottavo nelle elezioni di maggio, incluse le campagne delle sue “squadre della morte” contro varie forme di criminalità comune e gli street children.

Campagne accompagnate da minacce e aggressioni contro elementi e gruppi della società civile e della Chiesa locale, che si opponevano ai suoi metodi. Una modalità di governo che l’ex presidente ha trasferito a livello nazionale come inquilino del palazzo presidenziale di Malacañang. Oltre alla costante repressione di ogni opposizione e a uno stile e linguaggio brutali utilizzati anche con i molti critici a livello internazionale dentro e fuori le diplomazie, la sua presidenza si è contraddistinta da programmi populisti e divisivi della società e della politica. Ma, soprattutto, per la “guerra alla droga” che aveva posto fra le priorità di governo.

Una iniziativa avviata con grande slancio a inizio mandato e poi affievolitasi, davanti a una crescente opposizione politica, delle Ong e della Chiesa che ha eroso di poco il vasto consenso popolare di cui godeva. E che è costata, secondo i dati di Human Rights Watch (Hrw), 12mila uccisioni (cifre che altri innalzano ulteriormente), mentre un numero immenso di veri o presunti tossicodipendenti, spacciatori e trafficanti è stato arrestato e stipato nelle già sovraffollate carceri dell’arcipelago.

Davanti al rischio di essere chiamato a risponderne delle imputazioni davanti a un tribunale internazionale, nel 2018 l’allora presidente Duterte aveva ritirato le Filippine dallo Statuto della Corte penale con sede all’Aja. L’accusa della stessa Corte ha stimato in 30mila le vittime delle campagne giustizialiste di Duterte, anche se il mandato che ha portato all’arresto considera anzitutto 49 casi di uccisione a lui direttamente imputabili nel periodo considerato.

Quanto successo potrebbe avere un effetto divisivo tra i filippini, sia per la residua popolarità di Duterte peraltro sostenuto dalla figlia vice-presidente Sara, a sua volta colpita da provvedimento di impeachment da parte del Parlamento non ancora giunto a conclusione; sia per l’approssimarsi delle elezioni che rischiano di trasformarsi in un referendum pro o contro l’ex presidente, i suoi metodi e il ruolo che lui e la sua famiglia hanno avuto e potranno avere. Ancor più in un tempo di evidente contrapposizione fra questa e la famiglia Marcos, dinastia politica inaugurata dal presidente-dittatore Ferdinand Marcos negli anni Sessanta del secolo scorso e che vede oggi alla presidenza Ferdinand Marcos Jr e diversi cariche politiche in mano a suoi familiari. L’accusa a Marcos di non essersi opposto all’estradizione potrebbe mettere sotto pressione la sua amministrazione in una tornata elettorale di mid-term che ha rilevanza politico-amministrativa, ma riflette anche il giudizio sull’operato della presidenza.

Fonte : Asia