Perché non serve lo “scudo anti ingerenze” proposto da Calenda

Lo “scudo democratico” proposto da Azione consisterebbe in un “comitato di analisi” composto da soggetti pubblici e privati che dovrebbe informare i servizi e il Garante per le comunicazioni della presenza di fenomeni che inquinano il processo elettorale e che, superato un certo (ma quale?) limite può convocare il Parlamento per sospendere il voto.

Perché è sbagliato pensare allo “scudo democratico”

Adottare un meccanismo del genere sarebbe, innanzi tutto, sbagliato.

Pensare che l’influenza su un Paese si manifesti tramite qualche meme su social network è estremamente riduttivo rispetto ai metodi per innescare un regime change.

A chi non è addentro ai meccanismi della black geopolitcs —il lato oscuro delle relazioni internazionali— basta leggere libri come il best-seller Confession of an Economic Hit-Man di John Perkins pubblicato nel 2004, oppure due classici del settore come In caso di golpe edito nel 1975 da Samonà-Savelli e Coup d’État: A Practical Handbook, scritto nel 1968 da Edward Luttwak, per rendersi conto di quanto siano complesse dinamiche del genere.

E anche guardando al fronte interno, basta leggere libri come The Victory Lab di Sasha Issenberg sul modo in cui Barack Obama sfruttò il microtargeting per gestire la propria campagna elettorale o il classicissimo —parliamo del 1928— Propaganda di Edward Bernays, oppure ancora la “non-decisione” della Corte suprema USA nel caso Murthy, Surgeon General, et al. contro Missouri, et al. decisa lo scorso 26 giugno 2024 per convincersi quanto gli esecutivi siano molto di più (e concretamente) preoccupati di dettare la propria prop-agenda che spaventati dai troll.

Quando i reali meccanismi di influenza operano sulla dipendenza culturale, tecnologica e finanziaria è abbastanza chiaro che limitarsi al pur non secondario ruolo dei social network come collettore e catalizzatore delle opinioni individuali e della pretesa che il desiderio individuale diventi, per ciò solo, diritto, è sostanzialmente inutile perché significa credere che basti chiudere la porta della casa di paglia dei tre porcellini per impedire l’ingresso del lupo cattivo. Questo non significa sottovalutare il ruolo della propaganda e della disinformazione state-sponsored come armi per minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni di un Paese coinvolto in un conflitto non dichiarato, o per fomentare disordini. Tecniche del genere sono conosciute e utilizzate da sempre, quindi in questo senso non c’è nulla di nuovo come dimostrano gli articoli del Codice penale presenti già dal 1930.

Perché è inutile pensare allo scudo democratico

L’attuale assetto normativo della sicurezza della Repubblica è stabilito nella legge 124 del 2007 e affida alla Presidenza del Consiglio l’alta responsabilità politica della sicurezza nazionale che viene esercitata tramite il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Il DIS, tramite due agenzie che si occupano del fronte interno (AISI) e di quello esterno (AISE) e sotto il controllo del Compitato parlamentare per i servizi (COPASIR), ha il compito di raccogliere tutte le informazioni relative a fattori di destabilizzazione e azioni ostili verso la Repubblica, e di informare l’autorità politica.
A questo, si aggiungono le competenze della Polizia di Stato in funzione di prevenzione generale e speciale che vengono esercitate in modo particolare tramite la Divisione investigazioni generali ed operazioni speciali (DIGOS). Infine, il Codice penale punisce fatti come l’accordo con lo straniero a scopo di guerra contro lo Stato italiano (articolo 243) o per impegnare lo Stato italiano alla neutralità o alla guerra (articolo 245), la corruzione del cittadino da parte dello straniero al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali (articolo 246), il disfattismo politico (articolo 266) e la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico (articolo 656). Questo significa che la magistratura inquirente, tramite la polizia giudiziaria, può intervenire in autonomia quando ci sono indizi di reato legati a propaganda e disinformazione.

In sintesi, dunque, la sicurezza della Repubblica è garantita dai Servizi, dalle forze di polizia e dalla magistratura che, nell’ambito delle rispettive competenze, presidiano i diversi fronti e il cui operato è ulteriormente sostenuto dalle attività di intelligence militare. Stando così le cose, dunque, non si capisce cosa dovrebbe o potrebbe fare di più il “comitato” che si propone di istituire.

Perché lo “scudo democratico” è pericoloso per la democrazia

All’indomani della Seconda guerra mondiale la Costituzione venne progettata attuando un sistema di pesi e contrappesi —o, se si preferisce, di poteri e contropoteri— basati sulla netta separazione delle attribuzioni degli organi dello Stato in modo che non si potesse ripetere l’accentramento di tutti i poteri nelle mani dell’esecutivo che rese possibile, all’epoca, la nascita dell’impero romano e, più di recente, la dittatura fascista.

Questo sistema è stato progressivamente messo in crisi dall’arrivo delle autorità indipendenti (il perché è alquanto complesso da spiegare, per cui ci limitiamo a rilevare che non sono previste dalla Costituzione ma che esercitano poteri che incidono direttamente sui diritti dei cittadini), dalla privatizzazione dei poteri pubblici causata dallo strapotere di Big Tech e da norme europee come il “Digital Service Act” che sottraggono alla magistratura il compito di tutelare i diritti degli utenti.

Dunque, accogliere la proposta di istituire lo “scudo democratico” significa, in concreto, attribuire a soggetti non previsti nella Costituzione ruoli e poteri che si intromettono nelle prerogative dell’esecutivo, del potere giudiziario ma, soprattutto, in quelle del Presidente della Repubblica, creando una instabilità strutturale nell’assetto delle istituzioni democratiche.

Libertà di parola è (ancora) democrazia?

Senza girarci troppo attorno, il convitato di pietra al tavolo del “contrasto alle influenze straniere” si chiama libertà di parola.

Fino a quando il consenso era gestibile tramite i corpi intermedi e le aggregazioni sociali avevano bisogno di risorse economiche e organizzative per esercitare un qualche ruolo politico, l’individuo in quanto tale conta(va) poco e niente.

La situazione è cambiata drasticamente da quando, grazie ai social network, i singoli possono organizzarsi in “sciami” effimeri ma non per questo innocui —basta pensare al caso Gamestop— ma soprattutto aggregati dalle convinzioni più disparate e, a volte, fantasiose. Questi sciami si sottraggono al controllo paternalistico che arriva dall’alto e rivendicano il diritto di esercitare una forma (che difficilmente si potrebbe chiamare “democrazia”) diretta di partecipazione al potere. Gli effetti di questo stato di fatto possono suscitare preoccupazioni, ma la soluzione non può essere uno “scudo democratico” che, al di fuori del controllo della magistratura, decida qual è il limite della libertà di manifestazione del pensiero e dell’esercizio dei diritti politici. Dunque, per quanto problematica la criticità, non si può rispondere con la decostituzionalizzazione del sistema di tutela della Repubblica. L’istituzione di uno “scudo democratico”, infatti, non solo non risponde a esigenze reali di tutela del processo elettorale, ma rischia di trasformarsi in un meccanismo di controllo extra-istituzionale dai contorni sfumati e dagli effetti imprevedibili.

Qualunque tentativo di regolamentare il dibattito pubblico e il diritto di voto attraverso meccanismi straordinari di controllo si traduce inevitabilmente in una limitazione delle libertà fondamentali e in una pericolosa deriva tecnocratica, che finisce per erodere gli stessi principi democratici che si propone di proteggere.

Fonte : Repubblica