AGI – “A Cascina Spiotta io c’ero. C’ero in quel minuto breve di 50 anni fa quando tutto precipitò, un inferno che ancora oggi mi costa un tremendo sforzo emotivo rivivere, al termine del quale sono morte due persone che non avrebbero dovuto morire, il padre di Bruno D’Alfonso e Mara. Mara, una donna eccezionale, una compagna generosa, e la morte di una persona cara è un dolore incancellabile che ti porti dentro per tutta la vita, per tutti e senza distinzioni. Lei era morta distesa su quel prato dove l’avevo lasciato viva e il dolore mi ha attraversato il sangue come una lama”. E’ questo l’incipit delle dichiarazioni spontanee rese alla corte d’assise di Alessandria dall’ex brigatista rosso Lauro Azzolini nel processo per la morte dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, del cui omicidio Azzolini è accusato assieme ai due ex capi storici delle br, Mario Moretti e Renato Curcio, marito di Cagol.
Nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, Azzolini, per la prima volta, racconta passo passo quello che sarebbe accaduto nella Cascina dell’Alessandrino il 5 giugno 1975. Non dice mai di avere sparato all’indirizzo di D’Alfonso ma ammette che furono lanciate due piccole bombe “senza mira” in un contesto di “grande confusione”. E conclude il suo intervento con parole che sembrano un’ammissione di responsabilità: “Capisco che oggi questo sembrerà paradossale, ma allora per la mia coscienza di classe ha significato assumermi la responsabilità della scelta”.
Lo scenario era quello del blitz dei carabinieri per liberare l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia tenuto sotto sequestro dalle Br nella Cascina. “Tutto precipitò, sentimmo colpi di arma verso di noi, rispondemmo con qualche colpo nel caos di una frazione di secondi. Prese le nostre auto pensammo di esserci riusciti a fuggire, ma la carreggiata era sbarrata dall’auto dei carabinieri e io e Mara ci urtammo finendo la corsa sotto il tiro di un altro carabiniere che era spuntato all’improvviso.Vi fu la nostra resa. Uscito dall’auto mi affiancai a Mara che era già sul prato. Notai che sanguinava da un braccio, le chiesi se era ferita. Mi disse di sì ma che non era niente e se c’era la occasione di tentare ancora di fuggire. Le risposi che avevo ancora una bomba ‘srcm’. D’accordo, al suo cenno, la lanciai e mi misi a correre verso il bosco, convinto che Mara mi avrebbe seguito. Raggiunto il bosco mi accorsi che lei non c’era e allora guardai verso il prato della cascina e l’ultima immagine che ho di Mara, che non dimenticherò mai, è di lei ancora viva che si era arresa con entrambe le braccia alzate, disarmata, e urlava di non sparare...Ho continuato a correre a piedi senza guardarmi indietro fino a raggiungere una zona distante, ben oltre il bosco, quando sentii due spari. Continuai a correre per ore cercando un nascondiglio sicuro per aspettare la notte. Ero solo”.
Nel raccontare la sua verità, Azzolini ricostruisce anche il contesto sociale di quello scorcio di ‘anni di piombo’. Quello alla Cascina Spiotta “è un giorno maledetto che non dimenticherò mai, ma visto che a distanza di 50 anni – spiega in una lunga premessa – si è deciso di portarlo in un processo pubblico, oggi che di anni ne ho 82, e tutto intorno a me è cambiato rispetto a quando ne avevo meno di 30, quando, nel contesto delle lotte di classe, nel duro conflitto sociale, assieme a tanti altri compagni pensavamo di poter fare la rivoluzione perchè allora il mondo che ci circondava era molto diverso da quello di oggi, seppur in questo presente quotidiano assistiamo a violenze, povertà, sfruttamento, e a milioni di morti in guerre terribili tra poteri, operai uccisi dal lavoro, una umanità dispersa, ho deciso di raccontare quello che quel giorno è successo”.
“Prima che questo processo abbia inizio, e prima che lo facciano altri, perchè io sono l’unico che ha visto quello che quel giorno è davvero successo, dico che quel giorno è successo quello che avevo scritto allora, nella ricostruzione fatta per tutti gli altri compagni delle Br trovata dai carabinieri mesi dopo a Milano e che è stata nominata più volte dalla pubblica accusa. Voi la leggerete, io non ci riesco, neppure a distanza di 50 anni, perchè mi fa rivivere i dettagli di una prolungata sofferenza, per cui vi dirò quello che oggi ricordo di quel giorno di così tanti anni fa e che non avrebbe dovuto succedere”.
Azzolini ricorda che da pochi mesi era arrivato a Torino: “Da operaio mi ero impegnato nel lavoro di coordinamento delle avanguardie nelle fabbriche torinesi; dopo l’arresto di due compagni della colonna torinese entro anch’io nella clandestinità proprio nel momento in cui per necessità di autofinanziamento l’organizzazione decise di sequestrare un ricco imprenditore. Era la prima volta e io vi partecipai, il tutto avrebbe dovuto concludersi in pochi giorni senza conseguenze né per il sequestrato né per noi. Invece già il giorno stesso del sequestro venne arrestato un nostro compagno che si dichiarò ‘prigioniero politico’ e l’indomani successe l’impensabile che stravolse tutto, perché a causa del fatto e della nostra impreparazione ci facemmo prendere alla sprovvista”.
“Mara e io avremmo dovuto controllare a turno l’unico viottolo di accesso alla Cascina – riferisce in aula ancora Azzolini -, ma d’improvviso sentimmo dei colpi forti alla porta e guardando dalla finestra ci accorgemmo della presenza di un carabiniere. A entrambi ci cadde il mondo addosso e ci prese il panico. Ho sentito dire che saremmo stati istruiti e addestrati per cosa fare in quei casi e altre cose del genere, ma non è vero, non sapevamo assolutamente cosa fare perché non era mai successo, vi fu una improvvisazione di tutto sul momento. Quel che ricordo è che decidemmo di fuggire abbandonando l’ostaggio. La confusione era assoluta, sapevamo che fuori ad attenderci c’erano i carabinieri. Ne avevamo visti due, forse tre, ma quanti di preciso fossero non lo sapevamo. Raccogliemmo carte e bagagli, frastornati, cercando di capire come uscire da lì. Si decise di usare le due piccole bombe ‘SRCM’, quelle considerate di addestramento, lanciate senza mira alcuna avrebbero prodotto una esplosione tale da disorientare gli stessi carabinieri e così avere lo spazio necessario per aprirci la fuga verso le nostre due auto che erano appena fuori”. Dopo la situazione “precipitò” e una sua ‘compagna’ Mara Cagol e l’appuntato Giovanni D’Alfonso rimasero morti a terra.
Fonte : Agi