Forse non tutti sanno che ad oggi abbiamo già speso oltre 700mila euro per una commissione parlamentare di inchiesta nata con l’intento di far chiarezza sulla gestione della pandemia da Covid-19. Peccato che le audizioni della commissione (in foto il senatore Claudio Borghi, tra i membri più carismatici) si stiano trasformando in un palco per teorie infondate, accuse senza basi scientifiche e tentativi di delegittimare il sistema sanitario nazionale e la risposta istituzionale alla crisi.
Le sedute della Commissione continuano a dar spazio a narrazioni che ricalcano le peggiori fake news circolate negli ultimi anni. Chi diffonde queste tesi ignora volutamente dati, studi e documentazione ufficiale preferendo costruire un racconto che ricalca le proprie percezioni.
“Hanno lasciato scadere dosi di anticorpi monoclonali nei frigoriferi, avrebbero salvato vite”
Riporto testuali le parole di una delle audìte, Sabrina Gualini, presidente del Comitato nazionale familiari delle vittime Covid, che accusa invece che venivano somministrati “midazolam, dexdor, morfina”anche in pazienti non intubati “perché erano degli scocciatori”.
Le false accuse verso i sanitari
La bufala dell’uso spropositato di sedativi è ripresa anche da Elisabetta Stellabotte del comitato Altra Verità: “Hanno usato midazolam e morfina in modo sconsiderato per restituirci i nostri cari in un sacco nero” accusa. Poi rilancia: “I sanitari eroi? Erano impegnati nei corridoi, nelle colonne sonore a fare i balletti”.
“La gente veniva soppressa nella maniera più atroce, nell’abbandono, nell’oblio e negli stenti”
Se vogliamo davvero imparare dalla pandemia, dobbiamo partire dai dati, non dalle bufale che fomentano uno ‘j’accuse’ verso il personale sanitario. Molte di queste associazioni si presentano come gruppi di cittadini in cerca di giustizia, ma in realtà si basano su un uso strumentale del dolore e della sofferenza. E portano avanti una narrativa in cui il sistema sanitario nazionale, i medici e gli infermieri sono stati carnefici di una presunta “mala gestione” intenzionale.
Questo racconto è profondamente ingiusto nei confronti di chi ha lavorato in condizioni estreme, spesso senza protezioni adeguate e con turni massacranti, per salvare il maggior numero possibile di vite. Ma analizziamo alcune delle fake news emerse nel contesto delle testimonianze riportate.
L’uso indiscriminato di farmaci letali
Una delle accuse più gravi riguarda l’affermazione che il farmaco Midazolam – insieme a Dexdor e morfina – sia stato usato intenzionalmente e in modo eccessivo per “accorciare la vita” dei pazienti, descrivendo questi farmaci come strumenti per “eliminare” i malati.
La realtà è che Midazolam e simili sono farmaci sedativi usati in contesti di terapia intensiva per gestire l’agitazione o la difficoltà respiratoria in pazienti gravi. Il loro impiego è generalmente volto a migliorare il comfort del paziente, non a causare danni diretti. Anche l’affermazione che “sono stati somministrati a pazienti non intubati” va messa in discussione, in quanto l’uso di sedativi in alcuni casi di grave insufficienza respiratoria è una pratica medica standard per prevenire sofferenze e migliorare l’efficacia del trattamento.
Il ricorso all’ossigeno come rimedio generico
Un altro punto sollevato riguarda l’uso dell’ossigeno in modo generalizzato, con l’accusa che questa pratica fosse inadeguata e tardiva. In realtà, l’ossigenoterapia è una delle principali modalità terapeutiche in terapia intensiva per i pazienti affetti da Covid-19 con insufficienza respiratoria. L’ossigeno è vitale per prevenire danni agli organi, soprattutto nelle fasi acute della malattia.
L’affermazione che l’ossigeno sia stato usato in maniera “sbrigativa” senza una valutazione medica appropriata non è supportata da prove scientifiche. Le linee guida internazionali suggeriscono un attento monitoraggio dei parametri vitali prima di qualsiasi somministrazione di ossigenoterapia o terapia ventilatoria che sono due cose diverse.
L’intubazione forzata che ha causato la morte di molti pazienti
L’intubazione è stata una delle poche armi disponibili nei primi mesi della pandemia per trattare i pazienti con insufficienza respiratoria grave. Non è mai stata “forzata”, ma applicata nei casi in cui i parametri ventilatori scendevano a livelli incompatibili con la vita. Le intubazioni sono state effettuate da rianimatori esperti e secondo protocolli consolidati.
Il problema non era l’intubazione in sé, ma il fatto che il Covid, nelle sue forme più gravi, causava un’insufficienza respiratoria spesso irreversibile, con tassi di mortalità elevati nonostante le cure intensive.
Il personale sanitario ha praticato omicidi deliberati
La critica più inquietante riguarda il concetto che medici e operatori sanitari abbiano agito con la volontà deliberata di causare la morte dei pazienti. L’affermazione che i medici siano “diventati dei killer” e che avessero il potere di decidere a chi somministrare cure e a chi negarle è un’accusa gravissima e priva di fondamento.
Durante la pandemia, i medici sono stati messi di fronte a situazioni estremamente complesse e difficili ma hanno operato secondo protocolli scientifici e linee guida internazionali per gestire la crisi sanitaria. Accusare in blocco il personale sanitario di malafede o di aver fatto scelte basate su una sorta di “giudizio di valore” è privo di riscontri e sminuisce il lavoro di centinaia di migliaia di professionisti.
La creazione di un “complotto sanitario”
In alcuni casi, queste affermazioni si intrecciano con una narrazione complottista, suggerendo che esista una cospirazione all’interno del sistema sanitario per occultare la verità e giustificare l’inadeguatezza dei trattamenti. Si parla di “silenzio” e di “trattamenti negati” senza evidenze a sostegno di queste teorie.
In realtà, durante la pandemia, il mondo scientifico e sanitario ha lavorato in modo trasparente, aggiornando costantemente le linee guida sulla base di nuove evidenze provenienti da studi e ricerche internazionali.
Le autopsie erano vietate per occultare la verità
Non c’è mai stato un divieto assoluto di eseguire autopsie sui deceduti per Covid. Nelle prime fasi della pandemia, le linee guida dell’OMS e del ministero della Salute raccomandavano di limitarle per ragioni di sicurezza, dato che il virus SARS-CoV-2 era ancora poco conosciuto e si temeva il rischio di contagio per gli operatori.
Tuttavia, in Italia alcune autopsie sono state comunque eseguite e hanno contribuito a comprendere meglio la patogenesi della malattia, portando a miglioramenti nelle terapie.
Inoltre le procedure di gestione dei cadaveri dei pazienti deceduti per Covid seguivano protocolli sanitari rigorosi per evitare il contagio. Il confezionamento in sacchi sigillati non era una decisione arbitraria, ma una misura di sicurezza adottata in molti Paesi, per proteggere gli operatori funebri e i familiari. Questo non significa che si volesse “nascondere” qualcosa, ma semplicemente che si agiva secondo le migliori pratiche per contenere il virus.
Tachipirina, vigile attesa e isolamento
Durante le varie sedute della commissione l’onorevole di Fratelli d’Italia Buonguerrieri continua a parlare di “protocollo tachipirina e vigile attesa” ma sappiamo che l’idea stessa che esista un simile protocollo è una narrazione distorta. Nelle fasi iniziali dell’infezione da SARS-CoV-2, le linee guida consigliavano di gestire i sintomi lievi a domicilio con terapia sintomatica (come il paracetamolo) e di monitorare l’andamento della malattia, intervenendo con trattamenti specifici in caso di peggioramento.
Questa strategia non era un “protocollo rigido” ma un approccio basato sulla gestione dei sintomi nella fase in cui non era ancora necessario il ricovero. L’uso della parola “vigile attesa” è stato strumentalizzato per insinuare che i pazienti fossero stati abbandonati, ma in realtà indicava un monitoraggio attivo, con la raccomandazione di rivolgersi al medico in caso di aggravamento. Inoltre, con l’evoluzione della pandemia e delle conoscenze sul virus, le linee guida sono cambiate, introducendo terapie più mirate anche per la fase iniziale della malattia. In sintesi, la narrazione sul presunto “protocollo” è una semplificazione fuorviante della realtà, spesso diffusa in contesti polemici e complottisti.
L’isolamento dei pazienti Covid è stato adottato per proteggere sia loro che gli altri degenti e il personale sanitario. La trasmissione del virus avveniva rapidamente e la presenza di visitatori avrebbe aumentato il rischio di contagio in ospedali già al limite della capacità. Nonostante le difficoltà, in molti reparti si sono attivate soluzioni alternative, come le videochiamate, per consentire ai pazienti di mantenere un contatto con i familiari.
9 marzo, l’anniversario del lockdown del 2020
Le accuse e le fake news che circolano nelle audizioni della Commissione, purtroppo, rischiano di distorcere la realtà. Sebbene comprensibili nel contesto di un dolore devastante, è fondamentale fare chiarezza sulla realtà dei fatti. Le pratiche mediche adottate durante la pandemia erano in linea con le evidenze scientifiche e le necessità urgenti, non con un intento malevolo o negligente. In questi casi, la verità scientifica e l’onestà intellettuale devono prevalere per evitare che l’errore e la sofferenza vengano strumentalizzati a fini ideologici o personali.
Fonte : Today