AGI – “Mangiavo di nascosto, fino a star male. Poi mi odiavo”. “Contavo ogni caloria, ma non ero mai abbastanza”. “Mia figlia si consumava davanti ai miei occhi e io non capivo”. Frasi ricorrenti di chi soffre di disturbi alimentari. E dietro i disturbi alimentari ci sono storie di ossessioni, sofferenza e solitudine. Un dolore spesso invisibile, nascosto da abitudini quotidiane che diventano prigioni.
La settimana del fiocchetto lilla
Mentre si accendono i riflettori sulla Settimana del Fiocchetto Lilla, la voce di chi ha vissuto questa battaglia diventa fondamentale per capire la portata del problema. Anoressia, bulimia, binge eating disorder non sono solo parole: sono vite spezzate, adolescenti che lottano in silenzio, famiglie che non sanno come aiutarli.
Testimonianze di sofferenza
“Mi guardavo allo specchio e non vedevo mai abbastanza. Ogni giorno era una battaglia contro la bilancia, contro lo specchio, contro me stessa”. Marta ha 16 anni e l’anoressia l’ha tenuta prigioniera per due anni prima che qualcuno si accorgesse del suo dolore. “Mia madre mi diceva che ero troppo magra, mio padre mi ripeteva di mangiare. Ma nessuno capiva che per me il cibo era una guerra, non un bisogno”, racconta.
Chiara, 21 anni, ha vissuto il problema opposto: “Non riuscivo a smettere di mangiare. Era il mio modo di controllare l’ansia, di riempire il vuoto. Poi mi vergognavo, mi odiavo. Il mio corpo era il mio nemico”. Il binge eating, il disturbo da alimentazione incontrollata, è meno visibile dell’anoressia, ma altrettanto devastante. “A scuola mi prendevano in giro, dicevano che ero grassa. Il problema è che non riuscivo a fermarmi. Il cibo era il mio rifugio e la mia condanna”, ricorda la ventunenne.
Il ruolo delle famiglie
Le famiglie spesso si trovano impreparate. Serena, madre di una ragazza in cura per la bulimia, racconta il senso di impotenza che ha vissuto. “Vedevo mia figlia dimagrire a vista d’occhio, la sentivo chiudersi sempre di più, ma non sapevo cosa fare. Pensavo fosse un capriccio, un periodo, qualcosa che sarebbe passato. Poi ho capito che aveva bisogno di aiuto. Ma il primo ostacolo è stato capire dove trovarlo”, sottolinea.
La scuola e la prevenzione
Il ruolo della scuola è cruciale. “Noi insegnanti ci accorgiamo quando qualcosa non va, ma spesso non sappiamo come intervenire – spiega una docente di lettere di un liceo napoletano – alcuni ragazzi smettono di mangiare, altri cercano di nascondere il problema, e non sempre le famiglie sono consapevoli di ciò che accade. Serve più formazione, più strumenti per capire e aiutare”.
Lo screening nelle scuole è un passo che, secondo la psicologa Rosa Castellano, potrebbe fare la differenza. “Riconoscere i segnali precoci è fondamentale. Spesso il disturbo si insinua lentamente – dice – si inizia con il contare le calorie, eliminare alcuni cibi, poi si passa al digiuno o alle abbuffate. Se si interviene in tempo, si può evitare che diventi una patologia invalidante. Ma bisogna formare non solo i medici, ma anche insegnanti e genitori, che sono i primi a poter cogliere i campanelli d’allarme”.
Le cause profonde
Le cause dei disturbi alimentari sono complesse e non si riducono a una semplice questione estetica. “Dietro questi comportamenti c’è spesso una sofferenza profonda, legata all’autostima, al bisogno di controllo, a traumi non elaborati – esplicita – viviamo in una società che impone standard irrealistici e i più giovani ne subiscono il peso. Il problema non è il cibo, ma il disagio emotivo che lo circonda. Curare un disturbo alimentare significa ricostruire un rapporto sano con se stessi”.
Fonte : Agi