AGI – I metodi della commissaria tecnica delle Farfalle, Emanuela Maccarani, avrebbero inciso negativamente anche sul rapporto col cibo delle azzurre. “È del tutto ragionevole ritenere che le giovani atlete avessero disturbi psico-somatici e/o alimentari causalmente riconducibili alle condotte attive e omissive poste in essere dall’allenatrice Maccarani e da quest’ultima prevedibili, alla luce dell’esperienza maturata e della diretta cognizione delle vicissitudini personali di altre atlete che, in passato, avevano avuto disturbi analoghi”. Lo scrive la gip di Monza spiegando le ragioni dell’imputazione coatta per Maccarani.
Pubblico ludibrio
La giudice censura non le operazioni di pesatura, fisiologica in una disciplina che richiede certe specifiche abilità, ma la sorta di ‘pubblico ludibrio’ a cui sarebbero state sottoposte. “Destano, più di qualche perplessità le modalità inutilmente afflittive connaturate alla dimensione ‘pubblica’ dell’operazione: le ginnaste venivano pesate una dopo l’altra al loro arrivo in palestra, e attendevano il proprio turno in fila, in mutande, perché anche il reggiseno avrebbe potuto influire negativamente sul risultato. Più di un’atleta ha, inoltre, riferito di insulti rivolti pubblicamente dalle allenatrici a coloro che erano ingrassate anche solo di qualche etto, che venivano perciò prese di mira durante il successivo allenamento. In questo modo, il peso rilevato condizionava l’andamento della giornata e, più in generale, il comportamento alimentare delle atlete, che temendo un incremento ponderale e le sue conseguenze erano portate a saltare i pasti, a limitare il consumo d’acqua e/o ad assumere lassativi”.
Impossibilità di controllo genitoriale
Impossibile, per la gip che ha accolto l’opposizione all’archiviazione di una delle presunte vittime, che i genitori potessero accorgersi di quello che sarebbe accaduto nell’Accademia di Desio. “Le caratteristiche del rapporto rendevano, infatti, impossibile l’esercizio di un effettivo controllo da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale, atteso che le atlete vivevano lontane dalle famiglie, non frequentavano istituti scolastici e trascorrevano la gran parte delle loro giornate in palestra. Ciò accresceva l’ampiezza dell’obbligo di protezione gravante sui soggetti cui le stesse erano affidate, rendendo necessaria una supervisione a trecentosessanta gradi sul loro benessere psico-fisico. Tra le condotte attive maltrattanti va, poi, menzionata la ‘violenza assistita’, subita dalle ginnaste che hanno assistito visivamente alle vessazioni perpetrate ai danni di altre atlete”.
Imputazione coatta
L’imputazione coatta viene sancita data “la ragionevole previsione di condanna“, presupposto richiesto dalla legge Cartabia. La giudice si discosta dalla richiesta di archiviazione della Procura attribuendo molto peso alle dichiarazioni delle atlete che hanno denunciato i metodi a loro dire illeciti di Maccarani.
Fonte : Agi