Amate il cinema di Bong Joon-ho? Allora Mickey 17 è quello che fa per voi. Il grande regista sudcoreano torna offrendo un film molto diverso per tono e atmosfera rispetto al suo passato, ma non così differente per tematiche, finalità, per la volontà di parlarci di noi, del nostro presente, di una società impazzita e senza più senso ed umanità. Il suo stesso percorso di regista è del resto da sempre atipico ma coerente, fatto di visioni ardite ed estreme, ma anche di topoi parecchio interessanti e audaci, con cui recuperare una visione chirurgica e illuminante.
Un regista politico senza alcun rimpianto di esserlo
Mickey 17 ci guida dentro un futuro a metà tra commedia e tragedia. La Terra è spacciata, un politico fallito (Mark Ruffalo) con consorte demoniaca al fianco (Toni Collette) convince una marea di poveracci che lui è il leader supremo, è la speranza dell’umanità e li guida verso un viaggio di qualche annetto a bordo di una nave spaziale, per raggiungere una nuova Terra (anzi pianeta) promessa. Mickey (Robert Pattinson) assieme all’infido socio Berto (Steven Yuen) cerca di filarsela da un boss della droga e firma, senza manco accorgersene, per diventare un “sacrificabile”. Di base è una cavia o un lavoratore kamikaze, che ogni volta che muore viene ristampato, ripogrammato e riportato in rampa di lancio. Poi per sbaglio lo stampano una volta di troppo e tutto cambia. Bong Joon-ho stavolta si affida ad una profondissima ironia, Mickey 17 è un film grottesco, eccessivo, intelligente, fatto per divertire ma la traccia inquietante della mano del regista sudcoreano è netta, incancellabile. Tratto da un romanzo di Edward Ashton, Mickey 17 partiamo col dire che come molti altri film di Joon-ho ci porta dentro una vita disperata, derelitta, un ultimo della classe (letteralmente) che in quanto tale è condannato alla sofferenza.
Se volgiamo la memoria alla cinematografia di Joon-ho, vediamo che questo tratto, il volerci parlare di gente comune, è letteralmente onnipresente. Da Madre a Okja, da The Host a Parasite, fino a Snowpiercer. Per Bong Joon-ho non esistono eroi, solo situazioni straordinarie, spesso anche incredibili ben oltre la logica, a cui dobbiamo fare fronte. Eppure, la sua regia è sempre impegnata nel parlarci di una realtà credibile, verosimile, un mondo non poi così distante del nostro come composizione, come umanità. Che si tratti di serial killer, mostri sbucati da un fiume, di supermaiali, persone con deficit o appunto viaggi nello spazio tra alieni, Joon-oh crea degli universi narrativi dove risplende una realtà fortemente classista, dove la diseguaglianza è un peso sulle teste di ognuno, dove vige un sistema di oppressione e l’ascensore sociale è stato sostanzialmente disintegrato. Non esiste giustizia, non esiste meritocrazia, ma solo l’illusione di un riscatto che è individuale, a meno che naturalmente non arrivi una svolta, qualcuno in grado di smuovere le coscienze. Ma anche quando questo accade, la strada è impervia e il “sistema” ha studiato ogni possibile contromisura per il mantenimento dello status quo.
Il vero mostro siamo noi, sempre e comunque
Il cinema di Bong Joon-ho non è un cinema specifico di un genere, li usa tutti e Mickey 17 ne è la conferma. Qui dentro c’è fantascienza, distopia, ma il regista sudcoreano recupera anche la comicità slapstick di un Buster Keaton o un Charlie Chaplin, la satira grottesca di un Woody Allen. Mickey è debole, credulone, ingenuo, ma Joon-ho lo dipinge anche buono, altruista, sensibile. Una vittima predestinata in quel mondo di squali, di sottoproletari schiavi di un desposta a cui Mark Ruffalo dona tutta la banalità possibile. Il male per Bong Joon-ho non è mai fascinoso o misterioso, casomai cerca di dipingersi come tale quando è parte di un sistema sociale. Vale per Kenneth Marshall e Ylfa, i due tiranni di questo strano viaggio, ma valeva anche per Ed Harris in Snowpiercer, così come per la diabolica famiglia Kim di Parasite, dello scienziato menefreghista di The Host o Nancy in Okja, non ci dona mai villain sofisticati, ma gente gretta, egoista, materialista, specchio di una visione della vita in cui l’altro è un ostacolo o una risorsa da sfruttare. Da notare poi che questi villain appartengono in realtà alle più disparate classi sociali, ma rispecchiano un credo capitalista, lo stesso che domina il nostro mondo.
Mickey 17 ci ricorda anche quanto Bong Joon-oh ami il fantastico, ci dona un’altra creatura vittima dell’uomo, in quanto diversa dalla norma come lo erano anche gli effetti da Sindrome di Down, i reietti che popolano il suo cinema. Ma la loro mostruosità è solo un costrutto narrativo, la società per il regista sudcoreano oggi come oggi ha bisogno di un nemico esterno contro cui coalizzarsi. L’obbiettivo? Distrarre dai nemici interni, dai vertici, e non deve sorprendere in fondo che Boon Joon-oh sia laureato in sociologia, visto che il suo cinema i vari meccanismi sociali di controllo e manipolazione li sa usare in modo egregio. Il protagonista di Mickey 17 è imprigionato con un suo doppio, un alter ego, attraverso il quale guardare l’altra faccia di ciò che vorremmo essere o temiamo di essere. Il conflitto tra desiderio e realtà, volontà e morale è un altro asse portante del suo cinema, che cambia forma, genere spesso, ma che mantiene intatto uno stile narrativo dove la verità è vestita di follia, dove l’ambiguità morale domina tutto e tutti. Un regista, Bong Joon-oh è cinico ma non pessimista, che sa che il vero mostro è sempre l’uomo, il resto è mera rappresentazione.
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Fonte : Today