I cristiani tra le vittime del massacro nella ‘nuova Siria’ di al-Sharaa

Sacerdoti, madri, minori: sono decine i cristiani travolti dalle violenze innescate della rivolta divampata nell’ex feudo di Assad. In un messaggio i patriarchi siriani parlano di “pericolosa escalation di violenza, torture e omicidi” contro “civili innocenti, tra cui donne e bambini”. Il tardivo appello dell’ex leader islamista all’unità. P. Jihad: “Digiuno e preghiera” comune per la pace. 

Damasco (AsiaNews) – Un sacerdote della Chiesa greco-ortodossa ucciso a sangue freddo; una famiglia intera – nonni, genitori, figli – massacrata all’interno della propria abitazione; decine di uomini, anziani, donne e persino minori vittime di vere e proprie esecuzioni per il solo fatto di essere cristiani. Dalla Siria giungono testimonianze drammatiche – rilanciate da gruppi attivisti – di una deriva sanguinosa degli scontri, iniziati la scorsa settimana, fra fazioni fedeli all’ex presidente di Bashar al-Assad e la nuova leadership al potere a Damasco che hanno già causato oltre 800 morti. Epicentro delle violenze quelli che, un tempo, erano i feudi del regime in un’area a maggioranza alawita le città costiere di Tartus e Latakia. L’intervento delle milizie di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) del presidente ad interim Ahmad al-Sharaa in reazione alla rivolta di formazioni lealiste del vecchio regime hanno causato durissimi scontri, sfociati in omicidi sommari e massacri di civili innocenti, compresi i cristiani.

La spirale di morte e terrore che ha investito i cristiani, di cui si erano già visti i primi accenni nel dicembre scorso in seguito all’ascesa dei miliziani e della cacciata di Assad, con croci divelte e un orrendo omicidio, preoccupa i vertici della Chiesa locale. In una dichiarazione congiunta i patriarchi Giovanni X (greco-ortodosso), Ignace Afrem II (siro-ortodosso) e Youssef Al-Absi (greco-melchita), parlano di “pericolosa escalation di violenza, torture e omicidi” contro “civili innocenti, tra cui donne e bambini”.

Da qui la “ferma condanna” dei massacri e la richiesta di “condizioni adeguate” per la ripresa del cammino di “riconciliazione nazionale” da più parti invocato e sottolineato ad AsiaNews anche dalla sola rappresentante cristiana nel Comitato dei sette Hind Kabawat. Stigmatizzando ogni forma di “vendetta ed esclusione”, i patriarchi concludono il messaggio invitando a difendere “l’unità del territorio siriano” e “cercare soluzioni pacifiche che preservino la dignità umana”.

Secondo il sito cristiano Assyro-chaldéens, l’histoire continue, che rilancia fonti locali, fra le vittime vi sarebbe un sacerdote della Chiesa greco-ortodossa di sant’Elia a Tartous, identificato come p. Yohann Youssef Boutros. Il sacerdote sarebbe stato freddato da fazioni affiliate al nuovo governo siriano di Abou Mohammed al-Jolani. Con un colpo alla testa è stato ucciso un altro “martire cristiano” di nome Fares Bassam Kawi; l’uccisione è avvenuta nel quartiere di al-Datour a Latakia, in precedenza l’uomo era stato “costretto a camminare a quattro zampe come un cane”. E ancora, un’intera famiglia è stata massacrata nella cittadina di Banias.

Un altro cristiano è stato ammazzato nel villaggio siriano maronita di Dahr Safra, con la vittima Tony Khoury centrato da un proiettile al volto. E ancora, il sindaco del villaggio cristiano di al-Mazra’a Wadi al-Nasara ucciso da fazioni vicine ad Hts, così come due cristiani – padre e figlio – di origine armena anche in questo caso a Latakia. Fra le decine di vittime cristiane coinvolte nell’escalation fra Hts ed ex fedelissimi di Assad, nel quadro di una rivolta sferrata da ex alti ufficiali dell’esercito lealista, vi sarebbe anche il padre del sacerdote Gregorius Bechara, della parrocchia di Notre-Dame dell’Annunciation, colpito a Banias.

A tre mesi dalla rapida ascesa delle milizie di Hts, un tempo affiliate alla galassia jihadista e guidate dal presidente ad interim al-Sharaa, che ha portato in poche settimane al crollo del vecchio regime, la Siria sembra tornare alle fasi più sanguinose e cruente della guerra civile. Una pericolosa escalation in una nazione ancora profondamente divisa al suo interno, che deve fronteggiare gravissimi problemi economici e una difficile difesa dell’integrità territoriale: a partire dalle mire indipendentiste curde nel nord-est, fino agli interessi incrociati di potenze regionali dalla Turchia nel nord-ovest fino al Golan, dove si fa sempre più massiccia l’occupazione israeliana. Elementi che rendono sempre più delicato – e difficile – il lavoro dell’Assemblea costituente che, almeno sulla carta, vorrebbe garantire massima rappresentanza a tutte le componenti etniche e religiose del Paese, ivi compresi gli alawiti, l’etnia di appartenenza degli Assad.

In queste ore è intervenuto lo stesso al-Sharaa, che durante le preghiere del mattino per il Ramadan a Damasco ha rilanciato l’obiettivo dell’unità nazionale di fronte alle violenze e alle esecuzioni sommarie, peraltro perpetrate da gruppi affiliati alla sua fazione. “Quello che sta succedendo in Siria ora – ha sottolineato – è una delle sfide attese”. Egli ha poi accusato i lealisti di Assad e potenze straniere (non specificate) colpevoli di “incitare nuovi conflitti e trascinare la nazione in una guerra civile, con l’obiettivo di dividerlo e distruggerne l’unità e la stabilità”.

Fra gli appelli contro la violenza vi è quello lanciato in queste ore da p. Jihad Youssef, del monastero di Mar Musa, che oltre a rivolgere le condoglianze alle famiglie delle vittime, ai “civili indifesi” vittima di “martirio”, chiede di “non tornare alle battaglie e vendette di un tempo”. Perché, avverte, la logica della vendetta non garantisce “giustizia”. “Sto parlando qui – sottolinea in un messaggio rilanciato sui social – come cittadino siriano, come uomo cristiano, come uno di voi, come alawita, come sunnita, come druso, come curdo, come arabo, sunnita, assiro, armeno, turkmeno orientale, tutti coloro che vivono sulla terra siriana, tutti coloro che avvertono dolore e compassione l’uno per l’altro”. Esortando i siriani ad archiviare le ingiustizie del passato, il religioso chiede di promuovere “pace e perdono”, guardando al futuro e ricordando il passato per “imparare da esso e non ripetere gli errori”. Da qui, l’invito finale a una comune veglia di digiuno e preghiera di cristiani e musulmani “per la pace e la riconciliazione sulla costa e in tutto il Paese”. 

(Nella foto alcune vittime cristiane di questi giorni)

Fonte : Asia