Mission to Mars di Brain De Palma è ricordato da molti per due elementi ancora oggi: fu un flop terribile, pareggiato solo dalla débâcle collezionata da Pianeta Rosso di Anthony Hoffman, l’altro colossal scifi dedicato a Marte quell’anno. Ma mentre il film di Hoffman rimane un terribile polpettone, Mission to Mars, a 25 anni dall’uscita in sala, merita forse di essere rivalutato per ciò che in molti non seppero scorgervi dentro.
Un’avventura su Marte nata in un parco a tema
Mission to Mars arriva in sala quando il nuovo millennio è appena cominciato e l’interesse per il Pianeta Rosso è di nuovo balzato alle stelle, con la NASA che aveva raccolto preziose informazioni grazie a progetti di esplorazione come il Mars Global Surveyor e Mars Pathfinder, ed era in procinto di inviare anche la Mars Odyssey. Alla fine di un decennio ottimista, quello degli anni 90, fatto di un’innovazione tecnologica sempre più massiccia e della percezione di un fattibile aumento della nostra presenza a lungo termine nello Spazio, si tornò a parlare di colonizzazione su Marte. Erano ancora lontani i tempi di Elon Musk e tutto quello che è venuto dopo, la civiltà umana su Marte era una prospettiva del dopodomani più che del futuro prossimo, ma di certo la Mars Society, con la sua volontà di portarci tra le stelle, ed altri progetti futuristici su una possibile presenza umana sul pianeta proliferavano.
Ma la fonte d’ispirazione per il film di Brian De Palma fu nientemeno che un’attrazione del parco di Disneyland, più precisamente nella Tomorrowland dedicata alla fantascienza. Era nata ai tempi della corsa allo Spazio che contrapponeva Stati Uniti ed URSS negli anni ‘50, quando era la Luna, e non Marte, a regalare suggestioni, sogni, ad essere la meta su cui si misuravano le rispettive capacità tecniche e scientifiche. L’attrazione aveva avuto un grande successo, fino alla temporanea chiusura nel 1993. Partendo dalla semplice idea di una missione su Marte, Jim Thomas, John Thomas e Graham Yost concepirono uno script in cui Gore Verbinski non riuscì a trovare la quadra, ma che Brian De Palma, da subentrato, rese una sintesi della sua cifra stilistica. Ma oltre a questo, Mission to Mars portò in dote anche fantasia e un’atmosfera avventurosa davvero uniche.
Ambientato nel 2020, Mission to Mars ci mostrava la prima spedizione internazionale su Marte, guidata dal Capitano Luke Graham (Don Cheadle), che dopo aver scoperto una strana formazione rocciosa sul pianeta e aver captato un’anomalia sonora, viene sterminata da una gigantesca tempesta di sabbia. Una tempesta di sabbia che pare essere una vera e propria forma vivente senziente, spietatamente decisa ad annullare la loro presenza. Luke, unico sopravvissuto del suo gruppo, invia una richiesta di soccorso, e un anno dopo una squadra di astronauti, formata dal Comandante Woody Blake (Tim Robbins), sua moglie Terri Fisher (Connie Nielsen), Phil Ohlmyer (Jerry O’Connell) e Jim McConnell (Gary Sinise) parte per raggiungerlo. Il viaggio sarà costellato di incidenti, con la distruzione della loro navicella. Il comandante Blake si sacrificherà per non rallentare il gruppo, che si riunirà con Luke nella base spaziale.
Scopriranno che sul Pianeta Rosso vi sono nascosti segreti in grado di cambiare la nostra visione dell’Universo e della stessa Terra, di rispondere soprattutto alla fatidica domanda: siamo soli nell’Universo. Mission to Mars nelle mani di Brian De Palma diventa una sorta di contenitore con cui omaggiare tutto ciò che la fantascienza moderna era stata in grado di regalarci fino ad allora o quasi. Ma lo Spazio che egli concepisce è un essere senziente, vivo, spesso pericoloso, infido. Il suicidio di Blake che si toglie il casco, rimane ancora oggi una delle scene più raggelanti del mondo scifi di quel decennio. Siamo dentro un’avventura quindi, che però alterna sogno ad orrore, scoperta al timore dell’ignoto oltre il confine. Il film ci fa riscoprire una dimensione di ammirata vulnerabilità nei confronti dell’Universo, che il cinema spesso aveva cercato di mitigare o di rendere in qualche modo meno netta.
Il trionfo dell’avventura e di un sogno universale
Mission to Mars è un’avventura in senso puro, in senso mitologico o ancor meglio universale, connesso alla storia umana nel suo complesso. Brian De Palma non vede una grande differenza tra quegli astronauti e uomini come Magellano, Vasco da Gama, Roald Amundsen o il Dottor Livingstone. Come loro, anche Jim, Terri e gli altri sentono di avere sulle spalle una sfida impossibile, nello Spazio che affascina e assieme terrorizza. De Palma ci mostra Marte come un gigantesco scrigno pieno di segreti, pare quasi un tempio alla Indiana Jones o l’isola di qualche pirata. Ci sono tracce di una civiltà tribale, suggestioni di una pseudoscienza sempre in agguato, che si rivela con un colpo di scena squisito, con cui troviamo l’origine dell’umanità. De Palma non riesce a resister alla tentazioni di connettersi a 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick, a Solaris di Andrej Tarkovskij. Ma poi ecco sbucare i Marziani.
Fonte : Wired