Diagnosi di Alzheimer a soli 19 anni: cosa sappiamo sul caso di demenza più precoce al mondo

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A un adolescente cinese di 19 anni è stato diagnosticato l’Alzheimer, la forma più comune di demenza al mondo. Il giovane aveva iniziato a perdere memoria e concentrazione due anni prima. Cosa sappiamo sullo sconcertante caso clinico, il più precoce noto in letteratura sceintifica.

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Nel 2023 è balzato agli onori della cronaca internazionale il caso di un giovane di 19 anni colpito dal morbo di Alzheimer, il più precoce noto in letteratura scientifica. Più correttamente, alla luce delle sue anomalie, gli autori dello studio hanno parlato di caso “probabile”, pur con evidenze cliniche e risultati dei test cognitivi corrispondenti alla infelice diagnosi. La demenza, di cui l’Alzheimer rappresenta la forma più diffusa, com’è noto è una malattia che colpisce prevalentemente individui anziani o comunque con più di 65 anni; circa il 10 percento del totale, tuttavia, è rappresentato da casi rilevati in individui più giovani di questa età.

Nella stragrande maggioranza dei casi precoci siamo innanzi all’Alzheimer familiare o FAD, una condizione ereditaria in cui un difetto genetico innesca la neurodegenerazione e dunque la manifestazione del declino cognitivo. Più nello specifico, sono coinvolte mutazioni in determinati geni: il gene della presenilina 1 (PS1) sul cromosoma 14; quello della presenilina 2 (PS2) sul cromosoma 1; e quello della proteina precursore della beta amiloide (APP) sul cromosoma 21, come evidenziato dall’Istituto Humanitas. Prima della diagnosi nel 19enne, un adolescente cinese, il caso di Alzheimer più precoce in assoluto era relativo a un 21enne che presentava una mutazione sul gene PS1, come descritto nell’articolo “De Novo PS1 Mutation (Pro436Gln) in a Very Early-Onset Posterior Variant of Alzheimer’s Disease Associated with Spasticity: A Case Report” pubblicato da medici e scienziati spagnoli dell’Ospedale Ramon e Cayal e della Fondazione Jimenez Diaz di Madrid.

Il caso del ragazzo di 19 anni è peculiare perché i medici che lo hanno seguito non hanno evidenziato alcuna mutazione nota associata all’Alzheimer ereditario, attraverso il sequenziamento del suo intero genoma. Ritengono dunque che si tratti di una forma sporadica della patologia neurodegenerativa, analoga a quelle che si evidenzia negli anziani, solo che in questo caso non c’è alcun collegamento con l’invecchiamento. Gli scienziati del Centro di innovazione per i disturbi neurologici dell’Ospedale Xuanwu e del Centro nazionale di ricerca clinica per le malattie geriatriche di Pechino, che hanno guidato le indagini sul giovanissimo paziente, non hanno rilevato nemmeno accumulo di placche di beta amiloide o di grovigli di tau nel suo cervello. Queste proteine “appiccicose” sono strettamente associate alla neurodegenerazione e al declino cognitivo, sebbene il loro ruolo non sia ancora pienamente compreso dagli studiosi. “Nelle persone con Alzheimer, la beta-amiloide si trova solitamente in grandi quantità all’esterno dei neuroni (cellule cerebrali), mentre i ‘grovigli’ di tau si trovano all’interno degli assoni, la lunga e sottile proiezione dei neuroni”, aveva sottolineato il professor Osman Shabir dell’Università di Sheffield in un articolo pubblicato su The Conversation.

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Dalle analisi del liquido cerebrospinale (o cefalorachidiano) del 19enne i ricercatori coordinati da professor Jianping Jia evidenziarono comunque una concentrazione elevata di p-tau181 e un rapporto amiloide-β 42/40 ridotto; si tratta di biomarcatori della demenza e precursori delle sopracitate proteine appiccicose, che dunque – probabilmente – si accumuleranno nel cervello del ragazzo. Un altro studio cinese pubblicato recentemente ha rilevato che i segnali più precoci dell’Alzheimer, come l’aumento nella concentrazione della proteina beta-amiloide 42 nel liquido cerebrospinale, possono essere rilevati ben 18 anni prima della comparsa dei sintomi. Attraverso una tomografia a emissione di positroni-risonanza magnetica con fluorodesossiglucosio, il team del professor Jia ha rivelato anche un restringimento dell’ippocampo, o più nello specifico, “atrofia dell’ippocampo bilaterale e ipometabolismo nel lobo temporale bilaterale”, come evidenziato nell’abstract dello studio “A 19-Year-Old Adolescent with Probable Alzheimer’s Disease” pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, la più prestigiosa rivista scientifica dedicata alla demenza. L’atrofia dell’ippocampo è un’altra manifestazione che si rileva nei pazienti con Alzheimer.

Al netto delle evidenze relative a biomarcatori e imaging cerebrale, ciò che ha fatto sospettare l’Alzheimer precoce per il 19enne è stato il repentino deterioramento della memoria. I primi sintomi sono comparsi all’età di 17 anni, quando ha iniziato a perdere continuamente la concentrazione e ad avere difficoltà nella lettura, inoltre non ricordava le cose fatte di recente (ad esempio i compiti a casa). In breve tempo i problemi di memoria sono diventati talmente gravi che ha dovuto abbandonare la scuola superiore in cui era iscritto. Sottoposto a test sul declino cognitivo in una clinica specializzata, il giovane rispetto ai suoi coetanei aveva un punteggio nella memoria a breve termine dell’87 percento inferiore, mentre per quella a lungo termine era più basso dell’82 percento. Segnali evidenti di un grave deterioramento cognitivo e di Alzheimer, seppur con le sue peculiarità.

In un’intervista rilasciata South China Morning Post il professor Jia spiegò che lo studio del morbo di Alzheimer a esordio precoce potrebbe diventare “una delle questioni scientifiche più impegnative del futuro”. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) entro il 2050 i casi di demenza triplicheranno arrivando a oltre 150 milioni, rappresentando non solo un enorme problema sanitario, ma anche sociale ed economico, alla luce del grave impatto della patologia sui pazienti e sui famigliari.

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Fonte : Fanpage