Mickey 17 di Bong Joon-ho arriva al cinema ed è una straordinaria satira spaziale

I film di Bong Joon-ho sono mondi. Ognuno contiene una varietà e una complessità di relazioni paragonabile a quella che le serie TV snodano in dieci episodi. Ogni personaggio ha una sua personalità complicata, né buono né cattivo, pieno di lati oscuri anche se ha le migliori intenzioni. Ogni svolta nella storia è motivata da qualcosa che ci è stato detto prima, ogni snodo narrativo è perfettamente coerente con il resto dei fatti. Questa non è solo buona scrittura, nei suoi film sono dettagli che emergono dalla regia, realizzata con un occhio attento alla narrazione visiva, perché ciò che la scrittura non riesce a dire ci viene comunicato dalle immagini. E di nuovo, anche in Mickey 17, presentato alla Berlinale 2025 e ora in sala, ce ne sono di pazzesche.

A partire da una delle prime, che dice tutto: un corpo umano esce da un macchinario come un foglio esce da una stampante, facendo un po’ avanti e indietro e con un rumore simile. È la massima forma di replicabilità che conosciamo, quella della fotocopia, e ha il minimo valore: il foglio stampato che si può accartocciare perché tanto se ne fa un altro uguale. Questo è Mickey, uno scemotto, che per sfuggire ai debiti sulla Terra ha accettato di imbarcarsi su un’astronave insieme a milioni di altre persone, dirette verso un nuovo pianeta da colonizzare. A differenza dei furbi, lui ha firmato senza leggerlo un documento che lo imbarca come “sacrificabile”: la sua mente viene mappata e così il suo corpo. Potrà svolgere i compiti più rischiosi e testare veleni o cure, perché può morire all’infinito e poi essere ri-stampato come nuovo. Il problema nasce quando una sua versione, la 17, non muore divorata da creature aliene come tutti pensano e, tornato alla base, incontra il suo doppio, la versione 18.

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Fonte : Wired