La violenza economica non lascia tracce visibili sul corpo ma è una delle più subdole forme di abuso. Il controllo delle risorse economiche viene usato come mezzo per esercitare potere all’interno di una relazione e si manifesta in diversi modi, alcuni più evidenti. Esistono comportamenti e situazioni che possono esserne il preludio, o facilitarla? Averli presente è il miglior modo per poter agire in tempo e prevenirla. Vediamo
Non avere un proprio conto corrente è un rischio
“Se non si ha un conto corrente proprio, siamo già a un livello altissimo di vulnerabilità alla violenza economica – spiega Annalisa Monfreda, autrice del libro Quali soldi fanno la felicità e cofondatrice di Rame, piattaforma che si pone l’obiettivo di accompagnare le persone a gestire le proprie finanze per raggiungere il loro benessere finanziario -. In questa situazione, qualunque cosa succeda, anche un litigio banale, può metterti nella condizione di non avere accesso ai soldi. Non vale averlo co-intestato, come ci raccontano moltissime donne: questo conto può essere svuotato in un secondo, e, culturalmente, è l’uomo che di solito utilizza i soldi come strumento di potere”.
Monetizzare il lavoro domestico
Un secondo livello di vulnerabilità è rappresentato dalla mancanza di un reddito lavorativo. Magari la donna ha un conto personale con dei risparmi messi da parte, ma non percepisce al momento uno stipendio, rimanendo dipendente economicamente dal compagno. I dati qui parlano chiaro: secondo quelli pubblicati dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), in Italia il 64% delle persone inattive nella fascia d’età tra i 15 e i 64 anni è rappresentato da donne: “È un tema delicatissimo – aggiunge Monfreda – Molte di queste donne in realtà lavorano perché si occupano dei figli e della casa. Nel momento in cui decidono di fare questa scelta legittima, dovrebbero però poter monetizzare questo lavoro domestico, cioè stabilire che l’uomo/compagno dia un corrispettivo perché le venga riconosciuto quanto fatto per la cura della famiglia, e poter avere dei soldi da poter gestire in totale autonomia. Non basta dire, come spesso ripetono in tanti, ‘tutto ciò di cui ha bisogno lo può comprare’. Questo aspetto è ancora oggi un tabù. In una coppia che veramente vuole mettersi al riparo dalla violenza economica sono decisioni che vanno prese consapevolmente. Questa forma di abuso infatti può scattare anche in una ‘persona perbene’, per esempio quando si divorzia: qualunque strumento che si ha per far del male all’altro viene spesso usato. Bisogna lavorare prima, per evitare che in seguito si sviluppino quelle forme di potere”.
Non avere entrate vuol dire anche non avere contributi
Non avere un reddito proprio mette le donne in una situazione di dipendenza anche in prospettiva futura. Un percorso discontinuo sul lavoro, dovuto principalmente alle cure familiari, culturalmente ancora sulle spalle delle donne, si traduce poi in un divario pensionistico di genere: “Se ad esempio si lavora nell’azienda di famiglia, è cruciale avere il proprio stipendio, soprattutto per avere i contributi quando si è anziane – aggiunge la cofondatrice di Rame -. Bisognerebbe pagare in tempo una pensione integrativa”. Spesso non si sa quale potrebbe essere una cifra “giusta” per un corrispettivo del lavoro domestico: “Alcune donne con le quali abbiamo parlato hanno chiesto di essere pagate 10 euro all’ora, il corrispettivo della paga che avrebbero dovuto dare alla colf. Quegli 800 euro mensili sono una rendita che può essere messa da parte”.
I segnali, dagli scontrini all’asimmetria informativa
Il primo segnale che identifica una violenza economica è il controllo. Il partner comincia a chiedere gli scontrini, a guardare l’estratto conto contestando continuamente le scelte fatte dalla compagna. Ci sono poi anche i tentativi di demotivare un possibile rientro al lavoro dopo che i figli sono cresciuti: “Spesso le donne ci riferiscono che, dopo aver comunicato la volontà di tornare a lavoro, esista una resistenza da parte del partner, con frasi tipo ‘Ma per quei due soldi che ti darebbero, meglio che stai a casa e risparmiamo’. Anche queste sono forme di violenza perché demotivano nella ricerca di un lavoro o nel riprendere a studiare, svalutando la persona. Non c’è mai una cifra per cui non valga la pena di rimettersi in gioco, se è quello che vogliamo”.
In molti casi, poi, viene sfruttata la cosiddetta asimmetria informativa. Approfittando del disinteresse culturale di molte donne nei confronti del denaro, i mariti o compagni possono usarle come prestanome, per trarne agevolazioni fiscali cui non avrebbero diritto. Si tratta, invece, di scelte che, per i rischi che comportano, dovrebbero sempre essere assolutamente consapevoli da parte di chi firma, come nel caso di un atto di proprietà.
Gli strumenti a sostegno delle donne per l’indipendenza economica
Le (poche) donne che denunciano una violenza economica, affermano gli esperti, lo fanno perché non possono più accedere al conto: quando la violenza, quindi, è ormai conclamata. Ma esistono degli strumenti, non sempre conosciuti, per poter raggiungere l’indipendenza economica. Per esempio il reddito di libertà: 500 euro per le donne vittime di abusi che si trovano in situazioni di difficoltà economica e vengono seguite da centri antiviolenza, riconosciuti dalle Regioni e dai servizi sociali nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza. C’è poi anche il gratuito patrocinio, che consente alle donne vittime di violenza di non pagare le spese legali (qui esistono però ancora delle difficoltà in merito alle procedure legate all’ambito civile e non penale). Alcune regioni hanno stanziato dei fondi ad hoc, e molti dei centri antiviolenza presenti sul territorio italiano offrono anche questo servizio per uscire dalla spirale della violenza.
C’è ancora tempo (il limite è la fine di marzo) per fare richiesta per il cosiddetto Microcredito di libertà, che aiuta le donne che decidono di mettersi in proprio con un prestito a tasso zero. “Esiste anche il congedo indennizzato – conclude Monfreda – Una donna dipendente, che ha già il suo stipendio, ha diritto a un congedo extra dal lavoro che le permette di gestire una situazione di violenza, con un’astensione dal lavoro di novanta giorni. Ci sono aziende che aumentano questo periodo come politica di welfare aziendale”. Anche la gestione dei soldi e l’educazione finanziaria sono un passo fondamentale per affermare la propria indipendenza: “Tracciare entrate e uscite è una buona pratica sempre, soprattutto per mettere in campo un’analisi delle proprie spese, per capire se alcune di queste rispondono a un diktat sociale, se ci impoveriamo per bisogni indotti dalla società dei quali non sentiamo davvero il bisogno. Pensiamo ad esempio alle eccessive spese nei ristoranti, se a queste non associamo un divertimento o un piacere, o agli abbonamenti infiniti a piattaforme che in realtà utilizziamo poco. Serve capire cosa ci serve davvero per vivere bene, quali spese vogliamo proteggere, e vedere se guadagniamo abbastanza. Se la risposta è sì, possiamo valutare di mettere i risparmi in un fondo pensione”.
Fonte : Wired