Il Financial Times pubblica la notizia del ricorso giudiziario proposto da Apple contro l’ordine delle autorità britanniche di rendere accessibili i dati memorizzati dagli utenti su iCloud e protetti da funzionalità che offrono un elevato livello di sicurezza. Siamo di fronte, dunque, a un nuovo caso giudiziario che coinvolge Apple e che ricorda quello che si discusse nel 2016 fino alla Corte Suprema USA.
All’epoca, il FBI chiese ad Apple di cooperare alla rimozione della sicurezza degli iPhone usati nella strage di S. Bernardino. Apple offrì del supporto ma non fu disponibile a compromettere la sicurezza di iOS, da qui la causa che, dal punto di vista processuale si risolse in un nulla di fatto perché in attesa della sentenza il FBI trovò in autonomia il modo di superare la sicurezza degli iPhone sequestrati.
Ora come allora, non ci sono evidenze che Apple abbia inserito backdoor propriamente dette nei propri sistemi, la comunità degli esperti di sicurezza non ne ha mai trovata una, e in più occasioni, compresa la vicenda inglese, l’azienda ha fermamente negato la circostanza.
Il ricorso alle corti inglesi
Riguardo alla notizia della causa intentata da Apple, ad oggi non è noto il contenuto del ricorso presentato davanti alle Corti inglesi, quindi è possibile solo ipotizzare che abbia gli stessi contenuti di quello discusso davanti a quelle statunitensi e sintetizzati nella posizione pubblica assunta all’epoca da Tim Cook. Staremo quindi a vedere se i giudici inglesi seguiranno l’approccio delle corti USA oppure no.
La guerra alla crittografia si sta estendendo al continente europeo
Il fronte inglese, tuttavia, non è l’unico aperto nella guerra contro la crittografia, scoppiata negli USA fin dal 1990.
Nel 2023 fu resa pubblica la notizia che la Spagna aveva intenzione di vietare la crittografia end-to-end, con una posizione condivisa anche da altri Paesi, e la Francia ha da tempo avviato una serie di iniziative concrete per limitare l’uso di crittografia forte da parte dei privati. Dallo scorso gennaio 2025 il Senato sta discutendo un progetto di legge per rendere obbligatorie le backdoor nelle applicazioni di messaggistica. Ma casi precedenti come quello che ha riguardato il CEO di Telegram e, prima ancora, quelli che hanno condotto allo smantellamento delle piattaforme di messaggistica sicura Encrochat e Sky ECC, dimostrano come il contrasto alla libera disponibilità di tecnologie del genere sia diventata una priorità dell’esecutivo transalpino.
Esiste una pace possibile, e fra chi?
La guerra contro la crittografia sta crescendo di intensità e non ha ancora raggiunto il culmine, ma presto o tardi dovrà arrivare a una conclusione; tuttavia, per fare la pace bisogna prima capire quali sono le forze che si contrappongono.
Per decenni, gli oppositori agli obblighi legali di indebolimento della crittografia erano essenzialmente appartenenti al mondo degli attivisti per i diritti civili, senza che quello dell’industria si esponesse più di tanto.
Nel corso del tempo, tuttavia, la crittografia è diventata la base dell’intera infrastruttura che fa funzionare servizi pubblici e privati e quindi —oggi— il maggior interesse a tutelare la robustezza della crittografia è dell’industria di settore che, grazie ad astute strategie di marketing, ha fatto propria la narrativa sui “diritti digitali”.
Dunque, a meno che gli Stati europei non decidano di andare fino in fondo senza aprire alcun negoziato, sarà proprio la trattativa con Big Tech a definire il punto di equilibrio sull’indebolimento dei diritti dei cittadini; il che dimostra —se ce ne fosse ancora bisogno— quanto sia forte la dipendenza pubblica da Big Tech e quale sia l’effettiva importanza dei “diritti fondamentali”.
Fonte : Repubblica