Un po’ ci è, un po’ ci fa, Stevie Wozniak. Un po’ è ancora davvero il nerd ribelle che con un altro Steve, Jobs, diede vita all’avventura di Apple nel 1975, un po’ è l’ospite d’onore (e ben pagato) in quelle manifestazioni dove c’è bisogno di uno sguardo divergente ma autorevole al mondo della tecnologia. E questo è anche il caso del Mobile World Congress di Barcellona, che ha invitato Wozniak sul palco della Talent Arena, una serie di incontri nella vecchia sede della Fiera, con un cartellone che comprende tra gli altri Gary Kasparov e vari (ex) dirigenti di aziende tech, da Google a Microsoft.
Dal lobbysmo alla politica attiva
E Wozniak tiene fede alla sua fama: schietto e diretto, affronta subito il tema del rapporto tra tecnologia e politica: “Le grandi aziende tecnologiche sono enormi, è come se possedessero le nostre vite”, ha detto. Data la loro dimensione e ricchezza, è inevitabile che abbiano “un certo coinvolgimento politico”, ad esempio attraverso l’attività di lobbying. Tuttavia, secondo il co-fondatore di Apple c’è un confine importante da non superare: avere un coinvolgimento indiretto (come influenzare tramite lobby) è molto diverso dall’assumere un ruolo diretto nella politica. Wozniak ritiene sbagliato e pericoloso che i colossi tech o i loro leader entrino direttamente nelle stanze del potere “solo perché hanno avuto un grande successo nel campo della tecnologia”.
Il caso Musk
E tra i tecnocrati non può mancare un commento al più famoso di tutti, Elon Musk, che con Trump ha assunto un ruolo governativo di primo piano come capo di un nuovo Dipartimento per l’Efficienza del Governo (DOGE) incaricato di snellire la burocrazia federale. “Le capacità politiche sono molto diverse dalle competenze di cui le aziende tecnologiche hanno bisogno per avere successo”, spiega Wozniak. Quando guidi un’azienda, tipicamente “cerchi il consenso, negozi, scendi a compromessi”, affrontando i problemi “uno alla volta” con efficienza. In politica invece servono abilità specifiche: visione di lungo termine, mediazione tra interessi pubblici diversi e gestione di complessità sociali, che non si improvvisano solo perché si è avuti successo nel tech. “Non mi piace quello che sta accadendo in questo senso negli Stati Uniti”, dice. Secondo Wozniak, figure come Musk tendono ad approcciarsi al governo con una mentalità da “uomo solo al comando” poco incline al compromesso. “Non si dice semplicemente che tutto è da buttare via e che si ricomincia da zero” quando si è al governo, secondo Wozniak. Ma ce n’è anche per altri imprenditori tech che “si sono aggrappati alla coda di Trump”, ad esempio il finanziere Peter Thiel, cofondatore di PayPal insieme con Musk.
Le regole
Più in generale, analizzando l’impatto della tecnologia sulla società e sulla governance moderna, Wozniak ribadisce i pericoli di un’innovazione senza regolamentazione, in particolare riguardo all’intelligenza artificiale. Qui il veterano di Apple appare allineato alla visione dell’Unione Europea e dell’AI Act, che richiede trasparenza sugli algoritmi e limita gli impieghi dell’intelligenza artificiale in settori ad alto rischio. “È uno strumento potente ma va compreso e controllato”, osserva. “Per “giudicare meglio ciò che consumiamo, dobbiamo sapere se l’informazione arriva dalla tecnologia, come l’IA è stata addestrata e quali fonti ha utilizzato”. Wozniak, che era tra i firmatari della lettera aperta di Future Of Life dove si chiedeva una pausa di sei mesi nello sviluppo dell’IA, sottolinea la differenza tra l’intelligenza umana e quella artificiale: “I trust the I, but not the A” (“mi fido dell’Intelligenza, ma non dell’Artificiale”). E per il futuro? “Oggi è una tecnologia straordinaria per riportare informazioni già esistenti, e forse un giorno sarà in grado di pensare autonomamente”.
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La proprietà digitale
Oltre all’IA, Wozniak tocca poi il tema della dipendenza dai servizi cloud e in abbonamento: a differenza degli albori dell’informatica dove l’utente possedeva e controllava i propri dispositivi e software, oggi tutto è legato a servizi di terzi, il che implica dover riporre molta fiducia nelle grandi aziende tech per la gestione dei propri dati e strumenti. Questo cambiamento di paradigma – dal possesso al servizio – concentra ulteriore potere nelle mani delle Big Tech, con potenziali ricadute sull’autonomia degli utenti e, indirettamente, sulla capacità dei governi di garantire diritti digitali ai cittadini. Wozniak non lo dice esplicitamente, ma è chiaro che, con servizi come Apple Music e Apple Tv+, il discorso riguarda anche l’azienda di Cupertino.La strada da percorrere, per il co-fondatore di Apple, è chiara: apertura e controllo democratico. E qui torna il nerd ribelle di cinquant’anni fa: “È necessario puntare sul codice open-source, che ci permette di tornare indietro, rivedere la tecnologia creata e magari migliorarla”, nella più totale trasparenza. Perché, ed è forse questa la lezione più importante del suo discorso – la tecnologia deve rimanere uno strumento al servizio della società, non condizionarla.
Fonte : Repubblica