La guerra commerciale di Trump ha già prodotto il suo primo effetto. Le borse europee chiudono infatti oggi, martedì 4 marzo, tutte in forte calo, trascinate al ribasso dall’intensificarsi della guerra commerciale scatenata dai nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti su Canada, Messico e Cina. Il mercato teme ripercussioni anche per l’Europa, con gli investitori sempre più preoccupati per il futuro delle esportazioni e della crescita economica del continente.
“Gli investitori sono profondamente a disagio con il nuovo ordine mondiale del presidente Trump”, ha osservato Kathleen Brooks, analista di Xtb, piattaforma di trading online. Il clima di incertezza ha spinto gli indici europei a una chiusura pesante: lo Stoxx 600 ha lasciato sul terreno il 2,14% a 551 punti, bruciando 367,27 miliardi di euro di capitalizzazione. Parliamo dell’indice azionario composto da 600 delle principali capitalizzazioni di mercato europee.
Le piazze europee in forte calo
A Milano, il Ftse Mib (il più significativo indice azionario della borsa italiana) ha ceduto il 3,41%, con una perdita complessiva di 31,61 miliardi di euro. Ancora più pesante il bilancio per Francoforte, dove il Dax (l’equivalente del Ftse Mib per l’Italia) è sceso del 3,54%. Parigi ha limitato le perdite all’1,85%, mentre Londra ha visto l’Ftse 100 perdere l’1,27%. Ma, mentre tutte le borse europee sono in crisi, quella di Mosca vola con l’indice Moex che sale del +2,9%.
A soffrire maggiormente sono stati i titoli legati all’automotive, tra i settori più colpiti dall’imposizione delle nuove tariffe: Stellantis ha registrato un pesante -10,16%, Iveco -7,63%, Pirelli -6%. Male anche il settore tecnologico con Stm (-8,37%) e gli energetici, con Saipem (-5,11%), Prysmian (-5,09%) e Tenaris (-5,97%). Tengono in positivo solo pochi titoli, come Campari (+1,35%) e Inwit (+2,12%).
La reazione del Canada e l’effetto sull’export italiano
Intanto la risposta del Canada ai dazi di Trump non si è fatta attendere. Il premier Justin Trudeau ha annunciato l’imposizione di dazi al 25% su 155 miliardi di dollari di prodotti americani, con l’entrata in vigore immediata su 30 miliardi di merci e il resto previsto nei prossimi 21 giorni. Trudeau ha accusato Trump di voler “distruggere l’economia canadese e voler annettere il Canada”, escludendo qualsiasi concessione unilaterale.
Per l’Italia, l’inasprimento delle tensioni commerciali rappresenta un serio rischio per il settore dell’export. Nel 2024, il nostro Paese ha esportato negli USA prodotti agroalimentari per 7,8 miliardi di euro, con un aumento del 17% rispetto all’anno precedente. Se i nuovi dazi dovessero colpire anche i prodotti europei, il Centro Studi di Confcooperative stima una riduzione tra il 15% e il 30%, con un impatto economico di circa 2 miliardi di euro l’anno.
I prodotti più esposti sarebbero vino, olio d’oliva, formaggi DOP, ortofrutta, pomodoro trasformato e pasta. Il settore vinicolo italiano, che trova negli Stati Uniti il suo primo mercato di sbocco (1,7 miliardi di euro di export nel 2024), potrebbe perdere fino a 1 miliardo di euro, lasciando spazio alla concorrenza di Argentina, Australia e Cile. Anche il comparto della pasta (805 milioni di euro di export) e dell’olio d’oliva (670 milioni) rischia forti contraccolpi.
Le conseguenze per il settore automotive
Se l’export agroalimentare soffre, il settore automobilistico è ancora più esposto. Stellantis, che possiede stabilimenti produttivi in Messico e Canada, potrebbe subire un impatto economico di 3,4 miliardi di euro sui suoi guadagni. In totale, gli analisti stimano un calo di 5,9 miliardi per l’intero comparto, con Volkswagen (-1,77 miliardi), BMW (-552 milioni) e Mercedes (-124 milioni) tra i più colpiti.
Due le opzioni per le case automobilistiche: spostare la produzione negli USA, con un aumento dei costi di circa 3.500 dollari per veicolo, oppure scaricare i dazi sui consumatori, facendo lievitare i prezzi delle auto tra i 6.000 e i 10.000 dollari. Questo effetto a cascata potrebbe ripercuotersi anche in Europa, con un aumento del prezzo medio dei veicoli stimato intorno al 10%. Una notizia pessima in un mercato ancora in forte crisi, che non sembra dare molti segni di inversione di tendenza.
Fonte : Today