“Noi non protestiamo per rovesciare Vučić. Il problema in Serbia non sono le persone, ma il sistema di potere”, ci dice Petar, studente della facoltà di filosofia.
La vita quotidiana nelle blokade di Belgrado e Novi Sad
Petar ci racconta alcuni dettagli della vita alla blokada di Belgrado: “Abbiamo numeri variabili, ci sono giorni in cui restiamo a dormire nell’università in pochi, altri in cui siamo di più. Questo vale anche per la nostra presenza ai cortei e alle attività diurne. Possiamo essere 50 un giorno, duecento un altro”.
A Novi Sad, invece, la partecipazione è altissima: nel campus sono parcheggiati trattori, con l’onnipresente mano insanguinata, emblema della protesta. Entriamo nella facoltà di lettere e giornalismo: ci sono striscioni, cartelli, scorte alimentari di ogni tipo, tantissimi materassini per dormire.
Sonja, una delle occupanti, ci racconta la vita vivace durante la blokada. “I professori vengono da noi, fanno corsi che la didattica tradizionale non gli permetterebbe di fare. E anche noi organizziamo le nostre lezioni, i cineforum, persino i corsi di lavoro a maglia e il teatro”. Quando gli chiediamo se ci sia qualcuno contro la protesta, lei ci riflette un po’ e dice: “Il rettore non è felice per tutto questo. Ci sono anche dei professori, pochi. Ma sentiamo di avere il sostegno delle persone e ora non dobbiamo fermarci”. E in effetti nelle strade, nei bar, nei parchi, nessuno sembra contro gli studenti.
Aleksandra, durante la blokada, ce lo spiega bene: “Ogni tanto qualcuno si lamenta, lo ha fatto quell’anziano lì, oggi. Ma per una persona così, ce ne sono mille che ci supportano. Abbiamo fiducia”.
Ma diversi incidenti si sono verificati fra gli studenti e i simpatizzanti del governo. Vučić è (anzi, era) a parole a favore alla protesta, ma chiede agli studenti di smettere di aprire un dialogo. “Veniamo accusati dal Regime [così gli studenti chiamano il governo] di essere pigri, di non voler studiare. Questo non è vero, chi è qui lo fa rinunciando alle lezioni che gli spettano di diritto”, ci dice Aleksandra.
I dubbi per il futuro della Serbia
Ma in mezzo a tante speranze, restano molte incertezze. Il 25 febbraio, il sindaco di Novi Sad Milan Đurić è stato rimpiazzato dal collega di partito Žarko Mićin, eletto a porte chiuse in consiglio comunale. In quel caso, sono tornati gli scontri fra la polizia e gli studenti che protestavano fuori dal municipio. Lo stesso Vučić, il primo marzo ha puntato il dito contro le blokade, rompendo mesi di atteggiamento apparentemente dialogante e accusando chi faceva i blocchi di aver “devastato l’economia serba”.
L’ultima sera a Belgrado riusciamo a parlare con Katarina, dottoranda a Belgrado e anche lei impegnata nelle proteste: “Con le blokade siamo riusciti a unire persone diversissime”, ci dice. “Ma, se e quando riusciremo ad rovesciare Vučić, ci sarà un problema: dove andrà il paese?”. Scopriamo così che la maggioranza degli studenti che partecipano alle proteste è nazionalista: “Sono molto felice, perché stiamo tornando a essere fieri di essere serbi, in una maniera non tossica. Ma io mi sento una persona liberale, spero che troveremo una sintesi che non ci porti a chiuderci”. Lei fa una pausa, poi ci dice: “So che siamo sulla strada giusta e sono sicuro che questo ci porterà lontano. Ho scelto di essere ottimista, come sempre”.
Fonte : Wired