Lo ammetto: quando, svariate settimane fa, mi è stato proposto di recensire e dire la mia su Paradise non ho accettato subito.
Prima sono andato a controllare di cosa si trattasse perché, nonostante il lavoro che faccio, si trattava di un titolo che non era minimamente entrato nel mio radar. Sì, è chiaro: avevo ricevuto come tutti i miei colleghi e colleghe i vari comunicati stampa della Disney. Ora però vi svelo una grande verità: quando ricevi una media quotidiana di e-mail superiore alle 100, se non è qualcosa che già t’interessa o se non si tratta di attività stampa particolari come interviste e similari, tutto è inevitabilmente destinato a finire in un luogo virtuale ben preciso. Il cestino del computer.
Siccome i miei “sì” o “no” a scatola chiusa vanno sempre in direzioni ben delineate, la mia risposta è arrivata dopo le opportune verifiche, come ho detto poco fa. A colpirmi non è stata tanto la generica premessa che, fra l’altro, non entra nel dettaglio della vera trama della produzione. Francamente leggere che mi sarei sorbito 8 ore circa di una vicenda su, cito testualmente, “una tranquilla comunità abitata da alcune delle persone più importanti del mondo” connotata da, sempre testualmente, una serenità che “va in frantumi quando si verifica uno scioccante omicidio e si apre un’indagine ad alto rischio” mi dava tutta l’impressione di essere un viaggio di sola andata verso Banalità Landia. Nei vari materiali ufficiali della Casa di Topolino comparivano però i nomi di punta di questa Paradise, quello del suo creatore, Dan Fogelman, e del suo protagonista, Sterling K. Brown. Insomma: la mente dietro This is us e uno dei suoi attori principali.
L’asticella della curiosità si è alzata di conseguenza, come l’arcata sopraccigliare, tanto che mi sono trasformato in una versione umana dell’emoji che appare se digitate il termine “interessante”. Il resto della storia è facilmente intuibile dalla recensione pubblicata lo scorso 24 gennaio, al termine dell’embargo.
Devo dire che il viaggio è stato ampiamente ripagato. E adesso ne voglio ancora.
Chi ha ucciso il Presidente?
Tempo fa vi ho consigliato un’altra serie disponibile in streaming su Paramount+ intitolata From. Un horror infarcito di enigmi tanto che nell’articolo menzionavo Lost e come la leggendaria serie TV di J.J.Abrams, Damon Lindelof e Jeffrey Lieber abbia influenzato l’80% delle produzioni seriali arrivate poi specie in materia di racconti basati sul mistery box. Tradotto per i profani: sono quelle serie interamente basate su un mistero dietro al quale se ne nascondono molti altri, sempre più intricati e connessi con le vite dei personaggi.
Anche Paradise rientra perfettamente nella categoria di quegli affreschi televisivi basati su un simile assunto.
Ed è abbastanza curioso che lo stesso Dan Fogelman e la Disney abbiano deciso di mostrare in anticipo alla stampa, di tutto il mondo sette episodi su otto. Una mossa atta a preservare il più possibile il whodunit del chi ha ucciso il presidente Cal Bradford (James Marsden). Tutto perfettamente comprensibile anche se, in realtà, il dare un volto e un’identità alla persona responsabile dell’omicidio era quasi la risposta meno interessante delle tante ancora in sospeso. Rispetto al cosa c’è fuori dal gigantesco bunker-comunità, quante persone sono ancora in vita in tutto il mondo, come verrà ricostruito lo status quo a Paradise dopo i vari sconvolgimenti, conoscere l’identità di un o una killer era quasi un fattore accessorio. Ben più stimolante il dipinto del contesto che ha portato questa persona a commettere quello che ha fatto, un quadro le cui pennellate arrivano, come nelle altre puntate, tramite una ricostruzione via flashback.
Un finale. Tanti misteri.
Che Paradise non fosse una serie antologica lo avevo compreso già nel momento in cui ho potuto vedere le “prime sette puntate” per raccontarvelo in una recensione in cui ho dovuto schivare gli spoiler come il Neo di Keanu Reeves in Matrix con i proiettili che gli vengono sparati. Troppe le porte rimaste aperte con la splendida e tesissima settima puntata, nel suo piccolo un fulgido esempio di quanto di splendido si possa fare, narrativamente e registicamente parlando, con una serie TV. E appunto: il fatto che a far fuori il presidente non fosse stata, direttamente o per interposta persona, Samantha Redmond (Julianne Nicholson) era un’informazione che perdeva quasi la sua importanza, tanti erano ancora i nodi da sbrogliare.
Eppure, anche questo snodo viene risolto con ammirevole profondità. Non è scontato avere a che fare con storie che, pur con il maggior minutaggio che normalmente viene garantito dalla narrazione per la TV, riescono a tratteggiare a tutto tondo tutte quelle situazioni che meritano di essere capite dallo spettatore.
Ma la riuscita di una serie, si misura anche nello stabilire quel delicato gioco di equilibri fra soddisfazione per le risposte date ad alcune domande e la sete di veder risolte le nuove che vengono lasciate in sospeso.
Certo, colpisce come per certi versi le domande nate da questo finale di stagione ricordino un po’, per certi versi, quelli di Fallout, l’ottima serie Prime Video tratta dall’omonima saga videoludica della Bethesda. Gente che vive sottoterra perché il mondo fuori è stato spazzato via, per un motivo o per l’altro. Che si ritrova a fare i conti con l’aver vissuto una menzogna. Poi è naturale: l’impostazione di Paradise è più “realistica” e quella di Fallout più distopica, ma l’assunto resta simile. Ed è un bene, sia chiaro perché trattandosi in entrambi i casi di produzioni di successo, vuol dire che sono entrate in sintonia con il pubblico, dei casi di “affinità elettive”.
Adesso voglio sapere quali verità dovrà affrontare l’agente Xavier Collins fuori da Paradise. Se Sinatra, una volta guarita, tornerà lucida e spietata o se si sarà ammorbidita senza essere più capace di fare il buon e il cattivo tempo nella comunità. E se il giovane figlio del Presidente, Jeremy Bradford, riuscirà a diventare un leader amato e rispettato, dopo essersi riconciliato post-mortem col padre.
Vorrei capire che passa davvero per la testa di Jane Driscoll, fissazione con la Nintendo Wii a parte.
Esigo una puntata dedicata alla moglie di Xavier con il racconto, dal suo punto di vista, dell’ultimo giorno della terra così come la conoscevamo.
Se possibile, gradirei un’altra puntata da pelle d’oca come la settima della prima stagione.
Insomma: quando uscirà la seconda stagione non ci sarà bisogno di corteggiarmi più di tanto per farmela recensire.
Fonte : Today