Nessun assegno di disoccupazione (Naspi) per chi si assenta dal posto di lavoro senza una giustificazione, per più di 15 giorni, facendosi così licenziare. D’ora in poi questa casistica vale come “dimissioni volontarie” (ed è noto che chi si dimette dal lavoro per libera scelta non ha diritto all’assegno di disoccupazione). Questa norma, ribattezzata “anti furbetti della Naspi”, era stata inserita nel decreto “collegato lavoro” dell’ultima legge di bilancio del governo Meloni ed è poi diventata realtà con un messaggio dell’Inps che fornisce tutte le istruzioni del caso ad aziende e dipendenti. Vediamo cosa cambia con le nuove regole, nel dettaglio.
Niente Naspi per chi è licenziato per un’assenza ingiustificata
Andiamo con ordine. Per prendere la Naspi bisogna perdere il lavoro per cause indipendenti dalla propria volontà. Significa che per le dimissioni volontarie l’assegno non è previsto, a meno che non siano dimissioni per giusta causa. Per ottenere l’indennità per disoccupati Inps bisogna quindi perdere di lavoro per licenziamento (individuale, collettivo, disciplinare), per risoluzione consensuale o per scadenza del contratto a termine. Quest’anno la Naspi arriva a un massimo di 1.550,42 euro per due anni.
Le assenze e il licenziamento
E veniamo allo stratagemma che si cerca di annullare con questa stretta anti “furbetti”. Il fenomeno delle assenze per 15 giorni per poi farsi licenziare è difficilmente quantificabile, ma è comunque stato segnalato dai tecnici dell’Istituto di previdenza e denunciato anche da alcuni datori di lavoro negli ultimi anni. I lavoratori coinvolti si sarebbero fatti licenziare, magari per poi farsi riassumere in nero per altri lavori, potendo così percepire la Naspi per 24 mesi, da sommare al nuovo stipendio “nascosto”.
In sostanza alcuni lavoratori, anche appena assunti, si sarebbero assentati per giorni. Superati i 15 giorni, o un certo limite definito dal contratto collettivo di riferimento, scattava l’avvio di un provvedimento disciplinare, che poteva portare al licenziamento per giusta causa. Questa configurazione è una di quelle che dà diritto a chiedere la Naspi, a differenza invece di quanto accade con le dimissioni volontarie. Secondo l’Inps, però, spesso erano le stesse aziende a “cedere” alla richiesta dei lavoratori o a proporre loro il meccanismo delle assenze, per far prendere loro l’assegno di disoccupazione. Ogni società che licenzia qualcuno, di norma, deve anche versare all’Inps il cosiddetto ticket di licenziamento, che può arrivare anche fino a duemila euro.
La nuova procedura
Secondo le nuove disposizioni di legge, il datore di lavoro adesso ha l’onere di segnalare via Pec l’assenza prolungata di un lavoratore all’Ispettorato territoriale del lavoro, che poi deve procedere con le ulteriori verifiche. Come chiarito dall’Inps, quindi, solo dopo la comunicazione il rapporto di lavoro si intende risolto con effetto immediato. E senza la necessità di dover completare la procedura telematica di dimissioni. Inoltre, se il lavoratore dimostra l’impossibilità di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza (per causa di forza maggiore o per un fatto imputabile al datore di lavoro), oppure nel caso in cui l’Ispettorato accerti la falsità della comunicazione del datore di lavoro, le dimissioni diventano inefficaci.
Proprio per cercare di fermare questo meccanismo, il governo Meloni da quest’anno ha introdotto un’altra norma. Se ci si dimette volontariamente da un lavoro a tempo indeterminato, si viene assunti da un’altra azienda e poi licenziati da quest’ultima, si ottiene la Naspi solo a fronte di 13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno (prima bastavano 13 settimane negli ultimi quattro anni). In sostanza, con questo nuovo schema si vuole evitare che qualcuno si dimetta avendo un accordo con un’altra azienda per farsi assumere e subito licenziare, così da prendere l’assegno di disoccupazione.
“Per quanto riguarda la Naspi, dopo essersi dimesso da un impiego e l’instaurazione di un rapporto di brevissima durata seguita da un licenziamento, questa misura ha una finalità antielusiva. Non è un riconoscimento della Naspi a seguito di dimissioni volontarie”, ha spiegato la ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Marina Elvira Calderone.
Fonte : Today