C’è poi un’altra differenza cruciale: il palcoscenico. Tucidide racconta che il dialogo tra ateniesi e melii avvenne in una stanza chiusa, davanti solo agli oligarchi dell’isola – e questo nonostante gli ateniesi avessero inizialmente chiesto un confronto pubblico. Essendo gli inventori stessi della democrazia, gli ateniesi avevano capito benissimo che questa forma di governo è intrinsecamente mediatica, ancor prima che esistessero i media moderni. La piazza pubblica, infatti, non premia necessariamente la giustizia, la moralità o l’efficacia delle idee, ma chi riesce a presentare “gli argomenti più attraenti”, quelli in grado di catturare l’attenzione e il consenso, e per fare questo – piaccia o non piaccia – è necessario un po’ di teatro. Trump e Vance, invece, hanno potuto condurre la loro umiliazione davanti alle telecamere, trasformando quello che avrebbe potuto essere un duro negoziato a porte chiuse in uno spettacolo pubblico di ludibrio, un roast-show come lo definiscono gli americani. Ma il messaggio non era rivolto solo a Zelensky: era indirizzato a tutti i leader mondiali e al popolo americano. L’America non è più il protettore del mondo libero, ma una potenza che tutela esclusivamente i propri interessi, senza più spazio per le buone maniere.
La trappola del diritto
Che ne fu dei Meli alla fine? Tucidide ci dice che scelsero di resistere fino all’ultimo, convinti che il diritto e la giustizia valessero più della forza. Rifiutarono di piegarsi alla legge del più forte, confidando nella loro indipendenza secolare e sperando nell’aiuto esterno. Ma la realtà della guerra fu implacabile. Gli Ateniesi, determinati a dare un segnale a chiunque osasse sfidarli, non si lasciarono fermare dai principi invocati dai Meli. Dopo averli assediati e sconfitti, sterminarono tutti gli uomini in età da combattimento, ridussero in schiavitù donne e bambini e cancellarono la loro città, rimpiazzandola con coloni ateniesi. La lezione di questa tragedia antica è brutale, ma ancora attuale: i principi, se non sostenuti dalla forza, rischiano di condurre alla rovina. E se i Meli pagarono il prezzo estremo per la loro fede nel diritto, oggi l’Ucraina si trova in una posizione non meno precaria.
Ma in questo caso, chi è il più forte? La partita non si gioca solo tra Mosca e Kyiv, e forse nemmeno tra Mosca e Bruxelles. Il vero confronto di lungo termine sembra essere quello tra Washington e Pechino. Per gli Stati Uniti, allora, l’equilibrio ideale potrebbe essere una Russia contenuta, ma non annientata, abbastanza isolata da non minacciare l’Europa, ma sufficientemente autonoma da non diventare un vassallo cinese. In questo scenario, l’Ucraina non è più il centro della contesa, ma una pedina in un più ampio ricalibramento geopolitico. Il suo destino potrebbe non essere la cancellazione, ma la strumentalizzazione: un mezzo per riaffermare l’egemonia americana, spingere l’Europa a maggiori spese militari e mantenere Bruxelles dipendente da Washington. L’umiliazione pubblica di Zelensky, più che un segnale di abbandono, potrebbe essere un modo per ridefinire i termini della relazione con Kyiv e con l’Europa. L’errore dei Meli fu credere che i principi bastassero a proteggerli. Oggi, l’Europa rischia di commettere lo stesso errore. Indignarsi non basta. Se davvero intende raccogliere la sfida lanciata dall’amministrazione Trump e impedire che l’Ucraina diventi la prossima vittima della legge del più forte, servono meno proclami e più capacità operativa: militare, economica e strategica.
Fonte : Wired