Teheran: dietro le dimissioni di Zarif la stretta degli ayatollah sul governo riformista

Dopo soli nove mesi l’artefice dell’accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa) lascia l’incarico di vice-presidente. La decisione dopo l’incontro con il capo della magistratura che lo avrebbe “invitato” a lasciare, tornando al mondo accademico. Il Majles vota il licenziamento e l’impeachment per il ministro dell’Economia Abdolnaser Hemmati.

Teheran (AsiaNews) – Mohammad Javad Zarif, vice-presidente iraniano con delega per gli Affari strategici, ha rassegnato (di nuovo) le dimissioni dopo soli nove mesi di incarico, privando il governo del presidente Massoud Pezeshkian di un diplomatico di lungo corso e fra i fautori del dialogo con l’Occidente. Artefice del negoziato che ha portato alla firma dello storico accordo sul nucleare del 2015 (Jcpoa) con l’amministrazione dell’allora presidente statunitense Barack Obama, il politico e intellettuale ha ufficializzato la decisione dopo un incontro con il capo della magistratura. Quest’ultimo lo avrebbe infatti esortato a ritornare alla vita accademica, per “allentare” le già forti pressioni sull’esecutivo dell’ala radicale e ultra-religiosa a Teheran. 

In un messaggio affidato ai social lo stesso Zarif ha voluto esprimere “gratitudine” per l’opportunità concessa di “servire” la nazione, pur descrivendo gli ultimi sei mesi come il “periodo più amaro” della quarantennale carriera a causa di insulti, minacce e calunnie. Attacchi che hanno colpito il politico di lungo corso e la sua famiglia, che hanno riguardato anche la doppia cittadinanza. A guidare la campagna diffamatoria il partito di estrema destra “Fronte della perseveranza”, che ne ha più volte invocato le dimissioni per il suo essere da bambino “cittadino statunitense”. 

In una Repubblica islamica divisa fra fronte dialogante e ala oltranzista che fa riferimento alla guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei che ha confermato il rifiuto di ogni forma di dialogo con l’Occidente (e Washington), Zarif cercava l’arma dei colloqui per allentare le sanzioni. Un passo fondamentale, nel tentativo di rilanciare l’economia di una nazione segnata da una gravissima crisi e con un’inflazione a livelli record che gettato in piena crisi la gran parte delle famiglie. 

Nel messaggio con il quale ufficializza il passo indietro, l’architetto dell’accordo nucleare auspica che la sua partenza possa “rimuovere” gli ostacoli ai “successi” del governo e all’adempimento delle “richieste” del popolo iraniano. L’agenzia di stampa ufficiale Irna riporta le dimissioni, precisando che il presidente Pezeshkian – favorevole al dialogo con la Casa Bianca, ma che esclude nel futuro prossimo per la ferma opposizione della guida suprema alle trattative con gli Usa – deve ancora rispondere alla lettera.

L’uscita di Zarif – per la seconda volta in meno di un anno, sempre per “pressioni” dell’ala radicale – dal governo giunge nello stesso giorno in cui il Parlamento iraniano ha messo sotto accusa il ministro dell’Economia Abdolnaser Hemmati: ufficialmente per i suoi “insuccessi” e l’incapacità di risollevare le finanze del Paese e alleviare la crisi che attanaglia la popolazione. In realtà, dietro questa decisione vi sarebbero anche in questo caso le ben note posizioni di dialogo e di “riavvicinamento” con Stati Uniti ed Europa. I 273 deputati del Majles – l’Assemblea consultiva islamica, saldamente nelle mani degli ultraconservatori – presenti hanno votato la sfiducia e l’impeachment di Hemmati con 182 voti a favore, 89 opposti, un astenuto e un voto non valido.

I parlamentari che hanno votato la rimozione del ministro lo hanno accusato del peggioramento delle condizioni economiche da quando è entrato in carica lo scorso agosto: dal deprezzamento fino al 60% della valuta nazionale (rial) rispetto al dollaro Usa sul mercato durante il suo mandato, fino all’impennata dei prezzi dei beni di prima necessità, tra cui cibo e medicine. Difendendo il suo ministro, Pezeshkian ha esortato i membri dell’Assemblea a non licenziare un uomo chiave del suo governo, sostenendo che Teheran si trova ad affrontare una crisi ancora più grave della guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta. Il presidente ha ammesso le criticità nella vendita di petrolio a causa dell’ultima tornata di sanzioni, con le petroliere che “faticano a scaricare” le spedizioni. Durante il dibattito, alcuni legislatori hanno accusato Hemmati di sostenere i negoziati con Washington – che egli ha negato – e di attribuire alle sanzioni tutti i problemi economici della Repubblica islamica.

Fonte : Asia