Stazione spaziale internazionale, perché è ‘troppo pulita’ e cosa c’entra con la salute degli astronauti

La Stazione spaziale internazionale (Iss) ci affascina, è innegabile. Lassù, a 400 km di distanza dalla Terra gli astronauti conducono una vita completamente diversa: diverso è il loro modo di lavorare, di mangiare (rinunciando fin troppo ai piaceri della tavola), di dormire, di andare in bagno e lavarsi. La loro permanenza in orbita è essenziale, sia per far progredire la nostra conoscenza che per prepararci alle prossime missioni spaziali. Ogni scoperta fatta lassù potrebbe tornare utile. Come quella fatta da un team di ricercatori che ha mappato la presenza di diversi microrganismi sulla nostra casa in orbita, ricostruendo una sorta di “microbiota della stazione spaziale”, riferiscono dalle pagine di Cell. Il responso è chiaro: la Iss somiglia a un impianto industriale e questo potrebbe essere un bel problema.

Studiare i microrganismi sulla Stazione spaziale internazionale

I ricercatori hanno deciso di imbarcarsi in questo lavoro perché come raccontano in apertura del paper, sebbene fossero stati già compiuti in passato studi relativi alla presenza e caratterizzazione dei microbi in orbita – la stazione spaziale è un ambiente molto controllato – mancava una caratterizzazione estesa. Serviva qualcosa di più che coltivazioni di campioni, identificazione di possibili patogeni: uno sguardo più ampio insomma. Uno stimolo di ricerca motivato anche dal fatto che gli ambienti meno ricchi di batteri si associano all’insorgenza (sulla Terra) di disturbi a base infiammatoria, scrivono gli autori. Il riferimento è alla teoria dell’igiene, un tema caldo a chi si occupa di allergie e non solo. Per analogia dunque, verrebbe da chiedersi se magari dietro fastidi da permanenza in orbita, quali rash cutanei e allergie in orbita, non si celi magari la stessa situazione. Sono state queste le considerazioni che hanno spinto i ricercatori ad approfondire il tema.

Per farlo si sono affidati a un esteso campionamento delle superfici della stazione spaziale (sul modulo statunitense), che ha riguardato diversi moduli, compiuto a cavallo tra 2020 e 2021. Di fatto sono stati passati dei tamponi sulle superfici, e il materiale raccolto è stato analizzato da un punto di vista genetico e chimico, allo scopo di identificare le sostanze presenti. Si tratta della più ampia ricerca di questo tipo mai effettuata per la stazione spaziale, rivendicano gli autori, sebbene, ammettono, puntasse a identificare le tracce della presenza dei diversi organismi e non il fatto che fossero o meno vivi al momento del campionamento.

Ad ogni modulo (e attività) il suo microbioma

I risultati hanno mostrato poche sorprese: modulo che vai, microbioma che trovi. Ovvero ogni luogo aveva la sua caratteristica firma microbiologica che appare impressa più che dai valori di temperatura, pressione o esposizione alle radiazioni,, scrivono gli esperti, dal tipo di uso e frequentazione umana del modulo che se ne fa. Un esempio? Microbi (ma anche sostanze chimiche) associate al cibo tendevano a essere più comuni al Nodo 1, usato per riporre cibo e mangiare. Gli astronauti e le loro diverse attività di fatto sono la principale fonte di contaminazione microbica.

I ricercatori hanno compiuto delle analisi anche per capire esattamente da dove venissero questi microrganismi. I grafici sono chiari: la pelle umana è in assoluto la principale fonte di contaminazione, ma contribuiscono anche il microbioma del naso e quello associato ai materiali da costruzione. I batteri del genere Staphylococcus erano quelli più comuni. Le analisi chimiche invece hanno mostrato la presenza, tra gli altri, di di polifenoli, flavonoidi, derivati della gomma, plastificanti, alcaloidi, derivati del glicole polietilenico, metaboliti urinari: una composizione imputabile per gli esperti a materiali di origine industriale, derivati vegetali, oltre a specie umane e microbiche, cibo e prodotti per la cura della persona e disinfettanti.

La Stazione spaziale internazionale come i dormitori Covid-19

Tutto questo indica chiaramente che sono soprattutto la presenza e le attività umane, e tutto il carico di microbi che ci portiamo appresso, a dettare la composizione microbiologica e chimica della Iss. Difficile aspettarsi qualcosa di diverso per un ambiente così confinato. Un ambiente che, riferiscono i ricercatori, condivide alcune caratteristiche con ambienti terrestri: quelli meno contaminati, più controllati. Gli scienziati infatti hanno confrontato la diversità microbica della Iss con quella di diversi ambienti terrestri e scoperto che la nostra casa in orbita è piuttosto povera sotto questo aspetto. Più nel dettaglio, gli ambienti della stazione spaziale mostrano una ricchezza in termini di popolazione microbiche limitata, che condividono con le facility dove si assemblano sonde spaziali o si effettuano simulazioni o dormitori da isolamento Covid-19, per intendersi.

“L’assenza di microrganismi ambientali terrestri, combinata con l’elevato utilizzo di disinfettanti e la limitata diversità filogenetica della Iss rispetto agli ambienti costruiti sulla Terra, suggerisce che l’ambiente della stazione spaziale potrebbe essere subottimale per supportare la funzione immunitaria umana – scrivono gli autori, venendo al punto – Gli ambienti costruiti in futuro, comprese le stazioni spaziali, potrebbero trarre vantaggio dalla promozione intenzionale di diverse comunità microbiche che richiamino le esposizioni naturali della Terra invece di affidarsi a spazi altamente sanificati”. Ovvero, esplicita meglio Rodolfo Salido della University of California, San Diego, primo autore del paper: sulle rampe di lancio insieme a oggetti personali, materiale per condurre esperimenti, portiamo magari anche qualche microrganismo. Buono, da intendersi.

In ogni caso, conoscere come si distribuiscono i microrganismi secondo le attività umane potrebbe aiutare la progettazione di spazi così confinati per ridurre contaminazioni indesiderate, aggiungono gli esperti.

Fonte : Wired