Prima hai lo smartphone (e i social), peggio vai a scuola?

Che l’utilizzo delle nuove tecnologie possa avere effetti negativi sulle nostre capacità intellettuali è un timore che si ripresenta ciclicamente da tempo immemore. Si potrebbe risalire fino a Platone e alla sua preoccupazione che la scrittura creasse un esercito di “istruiti immaginari” (in grado cioè di reperire le informazioni sul momento, senza bisogno di memorizzarle), ma di esempi abbondanti ce ne sono anche in tempi molto più recenti, a partire dai timori relativi a televisione, videogiochi e internet.

Per quanto sia troppo presto per capire se davvero, come si teme, la crescente tendenza a delegare compiti intellettuali (scrittura, sintesi, traduzione, ricerca informazioni, ecc.) a ChatGPT e agli altri sistemi di intelligenza artificiale generativa possa avere ricadute cognitive negative, lo stesso non si può dire di dispositivi e piattaforme con cui ci confrontiamo da ormai due decenni: social media e smartphone.

E quindi, qual è l’impatto, dati alla mano, di questi dispositivi e piattaforme? Lo ha indagato la ricerca Eyes Up, presentata il 28 febbraio e condotta dall’università Bicocca di Milano in collaborazione con l’università di Brescia, l’Associazione Sloworking e il Centro Studi Socialis, con il finanziamento della Fondazione Cariplo.

In particolare, la ricerca – coordinata da Marco Gui, docente di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi – ha analizzato il legame tra l’uso precoce di smartphone e social media e il rendimento scolastico, evidenziando anche le differenze in termini di genere e di contesto socioculturale di partenza.

Per evitare che, come avvenuto in passato, la ricerca individuasse solo correlazioni statistiche, che non necessariamente indicano un rapporto di causa ed effetto, l’indagine ha utilizzato un metodo, chiamato “Difference in differences”, che permette di isolare l’impatto diretto dell’accesso precoce a social e smartphone, incrociando i dati ottenuti dal questionario a cui hanno risposto oltre 6mila studenti lombardi (iscritti al secondo e terzo anno di licei, istituti tecnici e professionali) con i risultati dei test Invalsi condotti dagli stessi studenti negli anni precedenti.

Prima di tutto: a che età ragazzi e ragazze aprono un account social? L’11,4% degli studenti accede per la prima volta a TikTok o a Instagram in quinta primaria o precedentemente, mentre per il 72,3% ciò avviene alle scuole secondarie di primo grado (le ex scuole medie) e solo per il 16,4% durante il primo anno delle ex superiori o successivamente.

Il legame con i risultati scolastici sembra inequivocabile: chi ha iniziato a frequentare i social precocemente ha risultati nettamente peggiori sia in italiano, sia in matematica, mentre la correlazione è molto meno evidente nel caso della lingua inglese. C’è però un altro aspetto estremamente importante e sottolineato nella ricerca: “I dati mostrano che gli studenti con genitori meno istruiti ricevono il primo smartphone prima rispetto ai coetanei con background più privilegiati. Gli studenti che accedono ai social network precocemente tendono a vivere in contesti con minori stimoli educativi a casa, dove il supporto genitoriale nella gestione del tempo online è meno strutturato”.

Per esempio, il 15,6% di studenti e studentesse i cui genitori non hanno un diploma accede inizialmente ai social in quinta elementare o prima ancora; percentuale che scende all’8,6% nel caso di genitori entrambi laureati. È un dato che, però, conduce a una domanda: è l’accesso precoce agli smartphone che causa risultati scolastici peggiori o è la provenienza da contesti socioculturali meno stimolanti a essere collegata a entrambe le cose?

“L’analisi che abbiamo fatto ha tenuto in considerazione tutti questi elementi di contesto, quindi possiamo affermare che l‘effetto dei social viene prima di tutte le altre variabili“, spiega il professor Marco Gui. “Le fasce svantaggiate hanno però meno tempo e meno disponibilità di seguire i figli, in un momento storico in cui la protezione è lasciata tutta alla famiglia.

Dobbiamo ora lavorare per capire come favorire un uso più consapevole delle tecnologie digitali, attraverso nuove norme sociali, strumenti educativi efficaci e policy mirate”.

La questione della disuguaglianza, che riguarda anche il background migratorio degli studenti, è di cruciale importanza e sta causando un rovesciamento delle dinamiche che si osservavano fino a pochi anni fa: “Il digital divide sembra essersi in qualche modo capovolto”, si legge nello studio. “Sono ora i bambini e gli adolescenti in contesti più svantaggiati a stare connessi più ore e a vivere in ambienti più pervasi da smartphone e social durante la giornata. Alla luce dei sospetti di problematicità dell’uso intensivo degli schermi, ci si chiede se non si stia assistendo a una nuova ‘disuguaglianza di iperconnessione’”.

In poche parole, dove prima il divario riguardava lo scarso accesso a internet e agli strumenti digitali di chi proveniva dai contesti più svantaggiati, adesso la situazione si è rovesciata e ad avere accesso prima a social e smartphone sono proprio i ragazzi cresciuti in ambienti economicamente e culturalmente più fragili.

Le differenze, però, riguardano anche il genere: in particolare, le ragazze usano di più i social network e sono più coinvolte emotivamente, un aspetto legato probabilmente all’autostima e al confronto sociale. I ragazzi, invece, utilizzano di più lo smartphone per attività di gaming, per fruire di contenuti in streaming di lunga durata su YouTube o su Twitch e altro.

Ciò che invece accomuna tutti è la tendenza all’abuso di social e smartphone (tendenza non limitata ai giovani, protagonisti però della ricerca): “Oltre il 50% dei ragazzi utilizza lo smartphone appena sveglio e il 22% lo consulta anche durante la notte, interrompendo il riposo”, si legge nella ricerca. “Il 51% ammette inoltre di usare lo smartphone durante i pasti in famiglia, sebbene solo il 10% lo faccia in modo sistematico, segno dell’esistenza di regole familiari che limitano l’uso del dispositivo in certi contesti”.

Tutto ciò rappresenta solo un primo passo, necessario alla creazione di strumenti che permettano a scuole, famiglie e legislatori di intervenire in modo corretto e non invasivo. E anche a rispondere a ulteriori domande. Per esempio: il parental control (il monitoraggio dell’attività che i figli svolgono sullo smartphone) aiuta concretamente i ragazzi? Quali sono le ripercussioni della digitalizzazione precoce una volta arrivati all’università o entrati nel mondo del lavoro? È possibile promuovere un’alfabetizzazione digitale efficace e inclusiva?

L’obiettivo non è di schierarsi contro social e smartphone, ma trovare il modo migliore di sfruttarli. Lo ha sottolineato anche una studentessa che, intervistata per la ricerca, ha spiegato: “Il mio rendimento scolastico è dato anche dall’utilizzo della tecnologia che in tantissime occasioni può essere di enorme aiuto, sono convinta che a scuola bisognerebbe dedicare del tempo per insegnare come sfruttarla al meglio e non vietarla e considerarla fonte di male e disgrazie”.

Fonte : Repubblica