Disturbi alimentari nei ragazzi: le esperte rivelano le verità che ogni genitore dovrebbe conoscere

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I disturbi alimentari nei bambini e negli adolescenti non riguardano solo il peso, colpiscono entrambi i sessi e assumono forme molro diverse. Un team di esperte ha quindi raccolto alcuni consigli per aiutare mamme e papà a comprendere il problema e adottare gli strumenti giusti per offrire un supporto concreto ai propri ragazzi e favorirne il percorso di guarigione.

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I disturbi alimentari nei bambini e negli adolescenti rappresentano una sfida complessa per le famiglie, spesso disorientate di fronte a segnali difficili da interpretare. Se però ansia e preoccupazione sono reazioni del tutto naturali per un genitore alle prese con un figlio che non riesce a mantenere un rapporto sano con il cibo, acquisire consapevolezza del problema e conoscere gli strumenti adeguati per contrastarlo rimane l’unica via per supportare il proprio figlio nel suo percorso di guarigione

Per approfondire l’argomento, il sito americano TODAY  ha recentemente interpellato un gruppo di psicologi ed esperti di disordini alimentati, i quali hanno di fornito alcune informazioni utili per affrontare e comprendere meglio questi disturbi.

Il primo nemico: la paura del genitore

Intervistata sull’argomento, dottoressa Gita Chaudhuri, responsabile di psicoterapia presso una clinica di riabilitazione a Palma de Maiorca, ha sottolineato come uno degli aspetti più difficili per i genitori sia proprio quello relativo alla gestione delle le proprie emozioni mentre si cerca di offrire sostegno ai figli.

“Anche i genitori sperimentano una perdita di controllo” ha dichiarato Chaudhuri, sottolineando come tale situazione risulti particolarmente angosciante per madri o padri il cui istinto naturale è quello di proteggere i propri bambini.

Lotta ai falsi miti

Uno dei più diffusi luoghi comuni riguardanti sui disturbi alimentari è che colpiscano solo persone sottopeso. In realtà, le ricerche dimostrano che meno del 6% dei pazienti con un disturbo alimentare rientra nella categoria di sottopeso clinico. Secondo la dottoressa Doreen Marshall, amministratrice delegata dell’americana National Eating Disorders Association, questa convinzione errata porta spesso gli adulti a trascurare molti casi che non corrispondono all’immagine stereotipata della malattia. I disturbi alimentari, invece, possono colpire chiunque, indipendentemente dal genere, dall’etnia o dallo status socioeconomico.

Ma allora quali sono i segnali cui prestare attenzione? Secondo la psicologa Sarah Boss, i genitori dovrebbero concentrarsi più sui cambiamenti improvvisi e significativi nel peso e nel comportamento, piuttosto che sulle caratteristiche fisiche del bambino. “Ci sono bambini che sono davvero magri e anche se sono magri, non hanno un disturbo alimentare. E potrebbero sempre essere molto più magri di qualcuno della loro età media” ha spiegato. Se però il peso cresce o diminuisce troppo velocemente, allora la questione potrebbe essere più seria.

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Il secondo cliché da abbattere è poi quello che vorrebbe limitare il problema al peso corporeo. In realtà, i disturbi alimentari sono anche (anzi, forse soprattutto) una questione di salute mentale. Per molti bambini e adolescenti il controllo dell’alimentazione rappresenta infatti un modo per gestire le proprie emozioni, ha sottolineato la dottoressa Chaudhuri. Pertanto, uno scompenso in questo rapporto può comportare lo sviluppo di una dinamica distorta in cui il disturbo alimentare diventa uno spazio in cui il bambino sente di poter esercitare il controllo sulla propria vita.

Oltre alla quantità di cibo consumata, è dunque importante osservare il comportamento del bambino nei confronti del cibo: l’ansia durante i pasti, il pensiero ossessivo su cosa si può o non si può mangiare e il rapporto con l’esercizio fisico sono tutti segnali da non sottovalutare. Atteggiamenti come evitare i pasti, diventare eccessivamente selettivi con gli alimenti o aderire rigidamente a diete salutiste possono essere ulteriori indizi di un disturbo alimentare in corso.

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Gli esperti hanno poi ricordato un terzo falso mito molto diffuso, ossia il fatto che simili disturbi riguardino principalmente le ragazze. In realtà anche i ragazzi possono sviluppare questi disturbi per motivi simili a quelli delle ragazze, tra cui la pressione sociale e le aspettative estetiche. Anzi, soprattutto dopo l’avvento dei social (potenti veicoli di modelli irrealistici che alimentano il senso di inadeguatezza) sono proprio i maschi a sviluppare con più facilità un’insana ossessione per l’alimentazione rigida e salutista, spesso accompagnata da un’eccessiva attenzione all’assunzione di proteine. Nei ragazzi però simili comportamenti sono ritenuti “più accettabili” e dunque spesso si tende a sottovalutare il problema.

Il linguaggio della famiglia conta

Spesso, di fronte a un figlio che mangia poco, i genitori reagiscono con esortazioni dirette come “Mangia di più” o commenti sul fisico, del tipo “Sei così magro!”. Tuttavia, Chaudhuri avverte che questi approcci non sono efficaci nel contrastare un disturbo alimentare. È invece essenziale instaurare un dialogo basato sulla condivisione delle emozioni e sulla comprensione.

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Le famiglie dovrebbero cercare di approfondire i sentimenti del bambino, ponendo domande sul benessere generale del figlio (“Come ti senti?”, “Hai qualche problema di cui mi vuoi parlare?”). Dopotutto, ha spiegato Boss, i disturbi alimentari non sono una scelta volontaria del bambino o del ragazzo, ma una risposta a situazioni emotive spesso complesse. Marshall ha anche consigliato ai genitori di evitare espressioni che categorizzano i cibi come “buoni” o “cattivi”, poiché anche il modo in cui un adulto parla della propria alimentazione può influenzare i figli.

Non esiste solo l’anoressia

Quando si parla di disturbi alimentari, il primo pensiero va spesso all’anoressia nervosa, caratterizzata da una restrizione estrema dell’alimentazione. Tuttavia, esistono molte altre forme di disturbi, come la bulimia, che prevede episodi di abbuffate seguiti da condotte di eliminazione, e il disturbo da alimentazione incontrollata, in cui si verificano abbuffate senza comportamenti compensatori.

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Negli ultimi anni si è parlato sempre di più di ARFID, il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo che si distingue dagli altri disturbi perché non è legato all’immagine corporea, ma a un semplice –ma profondo – rigetto dell’alimento. Spesso associato a condizioni come l’autismo o la sensibilità alle consistenze dei cibi, l’ARFID è però una forma di disturbo alimentare che richiede un approccio specifico.

I genitori devono essere supportati

L’ultimo consiglio che il team di esperte ha voluto fornire ha infine riguardato la necessità di non lasciare soli i genitori in questa battaglia. Se infatti ,quando un bambino soffre di un disturbo alimentare, il supporto della famiglia è essenziale anche le mamme e i papà devono trovare un aiuto per se stessi. Affrontare una situazione del genere può essere stressante e destabilizzante, ed è importante che anche gli adulti abbiano un supporto psicologico.

Se il disturbo è in uno stadio avanzato, è fondamentale dunque rivolgersi a specialisti e a gruppi di auto-aiuto. Un genitore sopraffatto dall’ansia potrebbe involontariamente trasmettere la propria preoccupazione al figlio, rendendo ancora più difficile il percorso di guarigione.

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Fonte : Fanpage