Le folli spese per Rsa e assistere gli anziani: ecco quando si possono evitare

Mesi, se non anni di attesa, costi proibitivi e molta solitudine. Sono alcune delle parole chiave che rappresentano la condizione di chi si trova a dover gestire il dramma di un familiare anziano non autosufficiente. Come abbiamo già raccontato recentemente, i costi per Rsa e case di riposo possono facilmente lievitare da due a 4mila euro al mese: un salasso per famiglie che spesso non hanno alternative. 

Il legame tra Rsa e mancata autosufficienza 

Partiamo da una premessa: case di riposo e Rsa, ossia residenze sanitarie assistenziali, non sono la stessa cosa. Le prime ospitano anziani ancora prevalentemente autosufficienti che sono soli o non possono più essere assistiti dai propri cari. Le seconde sono centri in cui vengono assistite persone che necessitano di assistenza medica, infermieristica e riabilitativa continua e che spesso non sono più autosufficienti. La gran parte degli ospiti di queste strutture è costituita da anziani, spesso affetti da patologie croniche e degenerative. Il loro numero è, da anni, in costante aumento.

Secondo l’ultimo rapporto Istat disponibile, circa il 52 per cento degli ultra 65enni presenta almeno tre malattie croniche. Non solo: quasi il 14 percento degli ultra 85enni soffre di gravi malattie cognitive come demenza o Alzheimer. Spesso sono assistiti da un familiare, ma quando questo non è più possibile, e ci si deve rivolgere a una Rsa, le cose si complicano. 

Rsa e rette: cosa c’è da sapere 

In Italia gli anziani non autosufficienti sono quasi 4 milioni (per l’esattezza 3,8). La legge italiana prevede, fin dagli anni ’80, la loro presa in carico da parte di strutture residenziali ad hoc e specifica che la spesa deve essere a carico della sanità pubblica quando si parla di “prestazione sanitaria”. Una definizione che ha generato non poca confusione. Attualmente l’assistenza cambia da una regione all’altra e sconta grandi differenze tra Nord e Sud.

Generalmente è la Asl di riferimento a stabilire il ricovero dell’anziano non autosufficiente e programmarlo a seconda delle disponibilità dei posti letto delle strutture pubbliche o convenzionate. L’attesa può durare anche mesi, a seconda di dove si vive. La disponibilità di Rsa non è uniforme in tutta Italia: si va infatti dalle 10 strutture ogni mille abitanti del Nord Est, alle 3 ogni mille del Sud.

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Molti, per evitare lunghe attese, si rivolgono ai privati, pagando interamente la retta per assistere i propri cari. Nel caso si riesca ad accedere invece a strutture pubbliche, o convenzionate, si fa invece distinzione fra “prestazioni sanitarie” e “prestazioni assistenziali”. Queste ultime, che comprendono anche vitto e alloggio, sono interamente a carico delle famiglie. Le prime sono invece a carico della sanità pubblica. 

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Ma il confine tra cura e assistenza è labile, specie quando parliamo di malattie degenerative. Così una recente sentenza della Cassazione ha riconosciuto il diritto del figlio di una malata di Alzheimer a ottenere dallo Stato la copertura dei costi di assistenza, oltre a quelli sanitari

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Non è la prima volta che la Suprema Corte si pronuncia in questo senso. In un’analoga sentenza del 2023 i giudici sottolineavano che, nel caso di malattie ingravescenti come demenza o Alzheimer, “le prestazioni di natura sanitaria non possono essere eseguite se non congiuntamente a quelle di natura socio assistenziale”. Tradotto: a pagare il conto deve essere il Servizio Sanitario Nazionale e non le famiglie. A mancare però è una legge, senza la quale l’intero sistema assistenziale potrebbe essere a rischio, come sottolineano le associazioni di categoria. 

C’è la sentenza ma manca la legge 

Ma i primi a scontare l’inesistenza di un quadro normativo chiaro sono proprio i familiari dei pazienti ricoverati. Per far valere quanto sentenziato dalla Cassazione bisogna ricorrere oggi a un’azione legale. In alcune regioni, come in Veneto, l’Adico (l’Associazione per la difesa dei consumatori) sta inoltrando anche dei provvedimenti stragiudiziali diffidando la Regione per il pagamento delle rette delle Rsa nel caso di malati di Alzheimer. Non esiste tuttavia alcun automatismo, né questo diritto è immediatamente rivendicabile. C’è solo un orientamento giurisprudenziale a cui appellarsi e, senza un processo e la sentenza di un giudice, le spese oggi continuano a essere a carico dei familiari. 

“Oggi bisogna intentare una causa che è sempre una grossa incognita, in alcuni casi alcuni procedimenti legali sono andati male e alcune famiglie si sono trovate a pagare anche le spese legali oltre alla retta della Rsa. Non si può andare avanti a colpi di sentenze, serve una legge che sia capace anche di definire bene i termini di questo diritto” ci spiega Mario Possenti, presidente della Federazione italiana Alzheimer.

Intanto molte famiglie continuano a fronteggiare costi proibitivi. La mamma di Stefania De Martino è affetta da demenza senile, una patologia che si è manifestata dieci anni fa. Oggi necessita però di assistenza h24, un impegno impossibile da sostenere per lei e la sorella. “Quando mia mamma è peggiorata è stato difficile trovare badanti specializzati per affrontare una patologia di demenza con problemi comportamentali. Rifiutava gli estranei e diventava anche aggressiva. La struttura è diventata una scelta obbligata” ci spiega.

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Per molti, a questo punto, il primo ostacolo diventano le liste di attesa infinite, “si può aspettare oltre un anno”, ci fa sapere. Il secondo sono le rette, che non sono certo esigue. “Quest’anno le spese sono aumentate a 1953 euro al mese e non è nemmeno molto. Molte strutture arrivano a costare anche 2500 euro al mese ed è quasi impossibile che l’indennità di accompagnamento copra la retta”. L’importo che lo Stato eroga a favore di mutilati e invalidi totali ammonta oggi infatti ad appena 542 euro mensili. 

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Esistono poi delle eccezioni, in cui anche la parte alberghiera dell’assistenza è completamente, o in parte, a carico dei comuni dei residenza. Le norme variano da provincia e provincia e sono legate all’Isee sociosanitario dei beneficiari.

Infine, è possibile detrarre il 19 percento delle spese nel 730, fino a un massimo di 2.100 euro, ma solo se il reddito non supera i 40.000 euro. Per molti familiari sono però briciole. E per chi assiste i familiari a casa le cose vanno anche peggio. 

La legge mancata sull’assistenza domiciliare 

Nel caso dell’assistenza domestica la solitudine dei familiari è spesso totale. Cristina ci ha scritto un libro, intitolato provocatoriamente “E io la mamma dove la metto?”. “Nel mio caso è successo tutto in due giorni in cui ci siamo trovati da una persona autosufficiente a una persona in coma” ci racconta. 

La sua vita cambia nel 2015 quando sua madre ha un’aneurisma che le procura gravi danni neurologici. Per sei mesi la Asl gli fornisce servizi gratuiti di logopedia e fisioterapia, poi le spese diventano a carico della famiglia.

Da quando suo padre viene a mancare è solo lei a occuparsi della madre. E le cose peggiorano quando la mamma compie 65 anni, e dall’area disabili, passa all’area anziani. A quel punto Cristina si vede abbassato l’importo dell’assegno di cura e deve rinunciare anche all’impiego di una badante. È costretta così a licenziarsi dal lavoro per stare vicino alla madre a tempo pieno. 

“Per la sua condizione il centro diurno non è certo indicato – ci racconta – e io volevo che mia mamma fosse seguita”. Intanto impara a fare da sola il lavoro di molti terapisti, come quello della logopedista. “Il Welfare in Italia lo facciamo noi, parliamo di sette milioni di persone” aggiunge. 

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A mancare è ancora una legge sui caregiver, figura lavorativa non ufficialmente riconosciuta, né valorizzata, ma usurante: “Mamma necessita di assistenza e socialità, come tutti. Ma per darla a lei sono io a non averla più” ci confessa. E a mancare sono le risorse. Come abbiamo già raccontato l’anno scorso, il governo ha stabilito lo scorso anno un bonus per gli ultraottantenni di 850 euro, ma i parametri sono molto stringenti: bisogna avere patologie gravissime e un Isee inferiore ai 6mila euro.

Nel frattempo è slittata 2027 la legge che doveva semplificare il sistema di accertamento dell’invalidità civile. E l’impressione è quella di aver ormai perso, con quel treno chiamato Pnrr, anche l’ultima occasione per cambiare la nostra assistenza sanitaria. 

Fonte : Today