Perché il ddl nucleare rischia di allungare i tempi per il deposito nazionale delle scorie

A pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina. Vuoi vedere che quando il ddl nucleare di fresco imprimatur del governo menziona “la disattivazione e lo smantellamento degli impianti esistenti, la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito”, ci sta dicendo di metterci comodi sulla costruzione del deposito nazionale delle scorie nucleari?

Se non vi ricordate di cosa si tratti, vi rinfresco la memoria. È l’impianto nel quale saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e parcheggiati temporaneamente 17mila ad alta intensità provenienti dalle quattro ex centrali e da altri snodi della filiera dell’atomo. Da anni l’Italia attende di costruirlo, per chiudere con la stagione nucleare finita con il referendum del 1987, e da anni si accumulano ritardi. Perché la politica non decide dove erigerlo. E dopo essersi data delle regole per guidare la scelta, è tornata sui suoi passi.

Lo stesso ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, si è incartato. Davanti ai no dei 51 siti potenzialmente idonei, ha tentato la carta delle auto-candidature, ma l’unico Comune che si era proposto, Trino Vercellese, ha fatto marcia indietro in due mesi a causa delle pressioni politiche di Fratelli d’Italia in Piemonte. Non ha sortito effetti neanche la ricerca di aree disponibili nel patrimonio del ministero della Difesa. L’ultima uscita, settembre 2024, è quella di distribuire i depositi sul territorio, in almeno tre strutture. Dopodiché sul tema, complice l’avvio della Valutazione ambientale strategica (Vas, una procedura burocratica propedeutica ai lavori) è calato il silenzio.

Cosa prevede la legge delega

Ora nel disegno di legge sul nucleare licenziato dal suo dicastero compare questo riferimento ai rifiuti. Nella delega, come recita il testo, rientra anche “la disciplina della sperimentazione, della localizzazione, della costruzione e dell’esercizio di impianti di stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito, nonché di impianti di smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi e del combustibile esaurito, qualora non riprocessabile, riciclabile o riutilizzabile, e dei relativi sistemi di sicurezza e radioprotezione”. Insomma, la materia già regolata nel 2003 e poi nel 2014. Da un lato è chiaro che se il ddl nucleare apre all’opzione che l’Italia torni sui suoi passi rispetto al bando dell’energia atomica e prenda in considerazione la costruzione di centrali nucleari, occorre adeguare la disciplina della gestione delle scorie al nuovo scenario. Al tempo stesso, dato l’immobilismo del governo sulla vicenda del deposito, la prospettiva di nuove regole potrebbe congelare la situazione fino a nuovo ordine.

L’Italia è in ritardo sulla costruzione. L’apertura è stata continuamente posticipata: prima nel 2025, poi 2030, diventato 2032 e, adesso, secondo le dichiarazioni ufficiali dello stesso Pichetto Fratin, si guarda al 2039. Il ddl nucleare assegna al governo 12 mesi per varare uno o più decreti legislativi per il ritorno all’atomo. Se da questi dipendono ricadute sullo smaltimento delle scorie, vanno sommati al calendario infinito dell’impianto. Non è un’ipotesi remota. Tra le materie su cui il governo vuole mettere il becco c’è il riordino degli apparati di controllo della filiera dell’atomo e l’istituzione di una nuova autorità di sorveglianza, in sostituzione dell’attuale Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, istituito nel 2014 ma partito quattro anni dopo.

La questione dei tempi

Il ministro Pichetto Fratin sembra molto ottimista quando saluta l’approvazione del ddl nucleare dicendo che “con il nucleare di ultima generazione, insieme alle rinnovabili saremo in grado di raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione, garantendo la piena sicurezza energetica del Paese. Così l’Italia è pronta ad affrontare le sfide del futuro”. Non sarà certo questa legge a risolvere i problemi dei costi in bolletta che affliggono famiglie e imprese. Ci vorrà almeno un anno per avere le leggi con cui riaccendere il nucleare, sempre che il Parlamento le approvi, e poi toccherà localizzare i siti, avviare le procedure burocratiche di autorizzazione, infine costruire. Senza fare i gufi, i tempi lunghi sono insiti. E dipendono anche dalle frontiere tecnologiche.

Fonte : Wired