Susana Muhamad, presidente dell’assemblea ed ex ministro dell’ambiente della Colombia, ha pianto. La Cop 16 sulla biodiversità, cominciata a Cali lo scorso ottobre, chiusa allora con un niente di fatto e proseguita a Roma nella sede della Fao dal 25 febbraio, si è conclusa ai tempi supplementari nella serata di giovedì 27. L’acronimo è lo stesso, quel Conference of parties ormai noto; il battage mediatico, però, è decisamente minore del meeting globale sul clima. Eppure l’assemblea di questi giorni riveste un ruolo altrettanto importante.
“Muscoli, gambe e braccia” al Quadro globale per la biodiversità approvato alla Cop 15 del 2022, un caposaldo paragonabile all’Accordo di Parigi per il clima: così Muhamad (che si è dimessa pochi giorni fa dall’esecutivo colombiano) ha definito il pacchetto di decisioni assunte nella tarda serata di giovedì, quando ha battuto il martelletto ed è arrivato il momento degli abbracci.
Anche questa volta (come a Baku) il tema chiave è stato quello della finanza: perché senza i soldi per implementarle, le decisioni valgono poco. E a nessuno piace aprire i cordoni della borsa. Non è nato un nuovo fondo per la biodiversità, come chiedevano i paesi del Global South per ottenere maggiore rappresentanza nei paludati meccanismi delle conferenze internazionali; ma i soldi, in qualche maniera e con tutti i distinguo che caratterizzano la diplomazia, si sono trovati. Alla fine si è deciso di incardinare provvisoriamente il nuovo collettore di soldi – nella cornice dell’esistente GEF (Global Environment Facility). La complessità della terminologia non è solo apparente: i meccanismi delle Cop sono cervellotici, e le mille perifrasi servono a prendere tempo, cautelandosi nei confronti degli (innumerevoli) imprevisti legati al clima politico. E’ stato così anche in questo caso: alle prossime edizioni (2027 e 2028) sono rimandate le decisioni chiave sullo sviluppo del fondo (cioè i dettagli operativi) e la possibilità di creare un nuovo strumento separato. Di più, a questo punto e in queste condizioni, non era possibile ottenere. Due guerre (Ucraina e Gaza), gli Stati Uniti prossimi al ritiro dall’Accordo di Parigi, l’ondata sovranista non sono scherzi, e i delegati – che, una volta a casa, riprendono il ruolo marginale che l’ambiente, da sempre ha al di fuori di queste kermesse – devono tenerne conto.
Cop 16 sulla biodiversità, le cifre
Veniamo alle cifre. E’ stato confermato l’obiettivo di mobilitare per la biodiversità almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. I paesi sviluppati dovranno stanziare almeno 20 miliardi all’anno a favore di quelli in via di sviluppo, per arrivare ad almeno 30 miliardi entro il 2030. I soldi arriveranno da risorse pubbliche, private, banche multilaterali: solite frasi, che possono voler dire tutto o niente, a seconda del vento politico. Ma è meglio di niente.
A Roma è stato inoltre approvato un pacchetto di indicatori, fondamentale per misurare i progressi e i 23 obiettivi del Quadro Globale per la Biodiversità: se non si misura, spiegano da sempre gli ingegneri, non si può migliorare.
Fonte : Wired