Qual’è l’orrore di cui bisogna avere più paura? Quello che puoi vedere o quello che è celato? Ed è davvero tutta una questione di fede? Quanto mai come in quest’occasione, credere o non credere potrebbe significare vita o morte per le malcapitate protagoniste di Heretic, pronte a una sfida di ideali e di convinzioni con un villain, già dal titolo, mefistofelico. Il nuovo film A24, finalmente ora nelle sale italiane ad alcuni mesi di distanza dalla release in patria, aveva catalizzato l’attenzione del grande pubblico già con la diffusione online del suo primo trailer, che ci mostrava un inedito Hugh Grant nelle vesti di un villain psicopatico, prossimo a mettere a repentaglio l’incolumità di due ragazze cadute tra le sue grinfie. Insolito vedere uno tra i più raffinanti esponenti dell’humour inglese contemporaneo nei panni del cattivo, e quindi già dalle premesse si è voluto giocare sul senso di sorpresa e di inaspettato: ma dietro questa, anche furba, scelta si nasconde anche un prodotto degno di visione?
Heretic: non suonate a quella porta
In Heretic due giovani missionarie mormoni, Sorella Barnes e Sorella Paxton, fanno visite porta a porta per provare a convertire alla loro causa gli abitanti di una piccola cittadina. In uno dei loro turni bussano alla porta del Signor Reed, un apparentemente tranquillo uomo di mezz’età che abita in una villetta residenziale fuori dal centro. Questi le invita ad entrare, assicurando loro che sua moglie sta preparando una torta ai mirtilli, e nel frattempo comincia a parlare con le ragazze di religione.
Con il passare dei minuti le ospiti si accorgono che c’è qualcosa di strano, oltre al fatto che della presunta coniuge non vi sia ancora traccia. Quando tentano, durante un momento di assenza del padrone di casa, di darsela a gambe, scoprono che la porta è chiusa a chiave e non vi è possibilità di uscire. Sarà soltanto l’inizio di un pericoloso gioco, nel quale il Signor Reed cercherà di smontare passo dopo passo i vari credi religiosi e costringerà le giovani a un folle gioco.
Il prima e il dopo
Un film a due velocità Heretic, con la prima parte che raggiunge altissimi picchi di tensione proprio nell’attesa di quel momento prossimo a venire, quando infine tutti i nodi vengono al pettine. Ma proprio nello svelare completamente le proprie carte si perde quel pizzico di mistero e anche il fascino dell’operazione, concettualmente assai interessante nella sua premessa, che finisce per standardizzarsi sui limiti di molti horror contemporanei.
Sia chiaro, l’ora iniziale giustifica già ampiamente i soldi spesi per il biglietto e il tempo della visione: Hugh Grant è assolutamente magnifico e inquietante, alle prese con un personaggio che difficilmente si dimentica. “Quel sorriso, quel maledetto sorriso” – che questa volta è maledetto sul serio – nasconde miriadi di sfumature e le atmosfere inizialmente leggere si fanno progressivamente più ansiogene, svelando appieno il carattere di un villain sui generis, colto e crudele, che mette alla berlina le contraddizioni dei vari credi in maniera irresistibilmente sardonica, tagliente e affilata.
Ecco allora che l’inizio di questa partita a scacchi mortale diventa l’effettivo punto di svolta della narrazione, che preferisce procedere poi su lidi più sicuri e battuti, depotenziando in parte l’efficacia di quanto visto in precedenza. Non mancano momenti sinceramente spaventosi e scelte e visuali che giocano con la stessa finzione del cinema – chi ha visto capirà quale sequenza stiamo citando – ma l’originalità scema progressivamente, trascinandosi su una resa dei conti finale relativamente prevedibile, per quanto ancorata a solide dinamiche di genere.
Dietro la macchina da presa troviamo la coppia di registi e sceneggiatori formata da Scott Beck e Bryan Woods, che avevano sì diretto uno sci-fi giurassico non troppo riuscito (qua la nostra recensione di 65 – Fuga dalla Terra) ma sono anche gli autori dello script del primo A Quiet Place (e già che ci siete recuperate anche la recensione di A Quiet Place), monster-movie che ha dato nuova linfa al filone e capostipite della relativa saga. E se là il silenzio era la chiave per sopravvivere, qua è la parola a essere al centro della vicenda, con le contrapposizioni tra i due schieramenti a sottolineare i moti emotivi di un film critico e cinico, che finché resta a livello teorico è (pre)potente e subdolo, salvo risultare meno incisivo proprio quando l’orrore è destinato a mostrarsi.
Per dar vita ai personaggi di Sorella Barnes e Sorella Baxton sono state interpellati veri membri del mormonismo e le stesse attrici Sophie Thatcher e Chloe East sono ex affiliate del culto. Allo stesso modo il cattivo risponde con la logica e con la storia, salvo poi diventare anch’esso vittima, schiavo e carnefice proprio di un altro credo, in un paradosso che permeerà poi l’ultima parte del racconto.
Fonte : Everyeye