Startup, in Italia i fondatori escono sempre dalle stesse università

Chi fa startup in Italia probabilmente ha studiato in un’università tra Politecnico di Milano, Bocconi e Alma Mater di Bologna. Negli ultimi cinque anni, tra il 2020 e il 2024, il venture capital ha investito in startup italiane quasi 7 miliardi di euro e molti soldi sono andati a chi ha frequentato proprio uno di questi tre atenei. Considerando gli investimenti per ciascun co-fondatore, e anche doppiando quelli per singola startup, i laureati al Politecnico milanese hanno raccolto sul mercato 3,4 miliardi, mentre i bocconiani si sono fermati a 2,5 miliardi e i dottori dell’Alma Mater a 1,1 miliardi. Il dato è emblematico per un paese che conta un centinaio di atenei, tra pubblici, privati e telematici. Sotto i gradini del podio si piazzano il Politecnico di Torino, con 350 milioni raccolti dai suoi ex studenti, e La Sapienza di Roma, a 307 milioni.

Tutto l’ecosistema tech italiano ruota attorno a pochissime università, spiega Lavinia Ferri, analista di P101 e tra gli autori di un dettagliato report per fare il punto sugli ultimi dieci anni di venture capital nel paese. Frequentare gli atenei milanesi permette di sfruttare la vicinanza territoriale con l’industria finanziaria, ma alla base della distanza siderale tra le facoltà non può esserci solo una ragione geografica.

“Le università riescono a lanciare dei progetti interessanti, anche tramite gli acceleratori, ma la loro capacità di funding è molto limitata e non è così semplice andare a scalare le idee di business”, sottolinea Ferri. Mancano legami forti con il mondo dell’imprenditoria, quando invece gli atenei potrebbero fare da “collanti” tra innovazione pura e mercato. “In Italia questa cultura c’è poco, ma è fondamentale per riuscire a mantenere talenti che sviluppano brevetti e startup interessanti”.

La sveglia, dice l’analista di P101, deve suonare un po’ per tutti. Se per gli atenei è arrivato il momento di guardare all’esterno, “anche noi del venture capital dovremmo aprirci di più. Abbiamo alcuni bias che ci fanno dubitare dei fondatori che provengono da università meno blasonate”. E gli studenti non sono esenti da responsabilità: “Serve avere una mentalità imprenditoriale. L’università può spingerti con dei corsi di studio specifici, ma bisogna fare un passo in più”.

Venture capital italiano sempre lontano dai big

Allargare la platea dei founder può aiutare l’Italia a lasciare la parte bassa della classifica europea dell’innovazione. Il report di P101 conferma i dati noti al mercato, e c’è poco da esser contenti: con un totale di 6,9 miliardi negli ultimi cinque anni, l’Italia è al decimo posto in Europa per investimenti del venture capital. Per un soffio entra in top ten, mettendosi alle spalle il Belgio fermo a 6,5 miliardi. Davanti ci sono tutte le principali economie europee con le quali la Penisola compete: la Spagna arriva a 13,1 miliardi in cinque anni, seguono le prime della lista Germania a 48,8 miliardi, Francia a 50,6 e Regno Unito a 114,2. Nel mezzo ci sono le piccole economie che si sognerebbero un prodotto interno lordo ricco come quello italiano: la Finlandia totalizza 7,3 miliardi, la Danimarca 7,4, poi Svizzera a 16,7, Olanda a 17,2 e Svezia a 25,6 miliardi di euro.

Fonte : Wired