Pechino aumenta la pressione su Bangkok, ma i centri per le truffe online non chiuderanno

Nonostante la diffusione di notizie sui crescenti rimpatri, migliaia di persone rischiano di restare bloccate nei compound in Myanmar o addirittura al confine con la Thailandia se i loro governi non interverranno per il rimpatrio. Diversi analisti sottolineano che alcuni cittadini cinesi si recano volontariamente a lavorare nelle truffe online. L’esercito birmano e le milizie alleate sono in difficoltà nei confronti di Pechino, perché chiudere i centri significherebbe rinunciare a un’importante fonte di reddito.

Myawaddy (AsiaNews) – Oltre 7mila persone vittime dei centri per le truffe in Myanmar sono state recuperate nei giorni scorsi grazie alla cooperazione tra Cina, Thailandia e alcune milizie etniche del Myanmar. Mentre circa 200 cittadini cinesi sono già stati rimpatriati, gli altri sono al momento ancora trattenuti al confine tra Myanmar e Thailandia dalle Karen Border Guard Force (BGF), una milizia etnica oggi allineata con l’esercito birmano. Le BGF da tempo controllano una vasta area dello Stato Karen, incluso il distretto di Myawaddy, in cui hanno luogo diversi traffici illeciti, protetti e favoriti dall’esercito birmano. Negli ultimi anni i militari hanno infatti più volte chiuso un occhio in cambio di tangenti periodiche e della condivisione degli utili. 

Oggi le BGF hanno diffuso una comunicazione in cui affermano di avere in loro custodia 7.141 persone di 29 nazionalità diverse (di cui 4.860 cinesi) che saranno rimpatriate solo quando le varie ambasciate straniere presenteranno richiesta. Sarebbe questa la ragione dei ritardi nella consegna dei lavoratori dei cosiddetti “scam centers” alle autorità thai. Ma da questa comunicazione si intuisce anche che, esclusi i cittadini di origine asiatica per cui i vari governi hanno cominciato a mobilitarsi, molti stranieri rischiano di essere rispediti nei centri per le truffe online. 

A inizio mese, altre 260 vittime, di cui la metà provenienti dall’Etiopia, erano state recuperate dalla Democratic Karen Benevolent Army (un’altra milizia etnica vicina all’esercito che si trova a essere in competizione con le BGF) e trasferite in Thailandia. Alcune vittime hanno raccontato al Guardian gli abusi subiti durante il periodo di detenzione. “I cinesi mi sottoponevano a scosse elettriche quasi ogni giorno. Ho sopportato tutto questo ininterrottamente per nove mesi”, ha raccontato una donna di 27 anni. Un pakistano di 24 anni, invece, ha spiegato di essere volato a Bangkok con la promessa di un lavoro nel settore informatico, ma durante quello che avrebbe dovuto essere un colloquio di lavoro gli sono stati ritirati il cellulare e il passaporto, ed è stato portato in un centro per le truffe online in Myanmar. “In seguito mi hanno venduto a un altro compound per 10mila dollari, dicendo che non lavoravo bene. Hanno cambiato i soldi proprio davanti a me”, ha continuato l’uomo, spiegando che i torturatori erano cinesi, ma i truffatori-schiavi venivano costretti a colpire i propri compagni se non venivano raccolte, con le truffe online, almeno 10mila dollari al giorno. Se si moltiplica questa cifra per il numero di persone che si presume siano coinvolte nei centri per le truffe online in tutto il sud-est asiatico (almeno 200mila), si può avere un’idea della quantità di denaro illecita che circola nella regione, probabilmente già superiore ai guadagni che frutta il traffico illegale di stupefacenti, pari a 80 miliardi di dollari l’anno. 

Anche se le notizie sulla liberazione dei lavoratori, soprattutto in Myanmar, sono aumentate negli ultimi tempi, secondo un analista sentito da AsiaNews che preferisce restare anonimo, la Cina sta da tempo cercando di mettere un freno a questo business. Nel periodo pre-covid le operazioni di repressione da parte di Pechino si erano concentrate sul gioco d’azzardo online (proibito in Cina) ed erano dirette soprattutto alla Cambogia. 

I centri per le truffe online hanno allora cominciato a trasferirsi in Myanmar, favoriti dalla guerra civile ancora in corso nel Paese. Solo che a differenza del periodo pre-covid, ha spiegato l’esperto interpellato da AsiaNews, è aumentato il coinvolgimento internazionale e molti cittadini cinesi si recano volontariamente nei centri per le truffe online perché sanno di poter ottenere in poco tempo facili guadagni, una decisione che potrebbe essere determinata anche dal rallentamento dell’economia cinese e dalla crescente disoccupazione giovanile in Cina. “Questo non vuol dire che non sia comunque lavoro forzato”, ha precisato la fonte. In alcuni casi anche ingegneri occidentali hanno collaborato con i centri per le truffe online nello sviluppo di applicazioni e sistemi informatici sofisticati. Anche secondo altri analisti locali, le BGF e la DKBA stanno cercando di “dipingere il problema come una mera questione di traffico di esseri umani”, quando in realtà le milizie, l’esercito birmano e i gruppi criminali cinesi lavorano da tempo insieme dividendosi gli utili.

In risposta ai crescenti rimpatri di cittadini cinesi, i gruppi che gestiscono i centri per le truffe online stanno reclutando birmani che parlano mandarino da Kokang, nello Stato Shan settentrionale, una regione al confine con la Cina dove nell’ultimo anno si sono intensificati i combattimenti tra l’esercito birmano e le forze che compongono la resistenza al regime. “Man mano che i cinesi vengono mandati via, possono essere sostituiti da birmani di lingua cinese. Non hanno bisogno di vivere nel complesso e sono liberi. Quindi, i compound non saranno chiusi”, ha detto una fonte anonima a conoscenza della questione alla rivista The Diplomat. 

Oggi per Pechino la strada più facilmente percorribile per mettere un freno a queste operazioni (perlopiù gestite da boss cinesi che in molti casi hanno anche ottenuto la cittadinanza thailandese o cambogiana) è fare pressione sul governo di Bangkok, perché l’esercito birmano è indebolito dalla guerra civile e non si è dimostrato in grado di risolvere il problema, nonostante le insistenze di Pechino, che sostiene militarmente la giunta militare. Il giorno dopo che le autorità thailandesi hanno interrotto la fornitura di energia ai centri per le truffe online in Myanmar, la premier thai Paetongtarn Shinawatra si è recata a Pechino per firmare un memorandum di intesa che prevede, tra le altre cose, la realizzazione di diversi progetti infrastrutturali parte della Belt and Road Initiative.

La situazione si sta rivelando complicata anche per lo stesso esercito birmano, che spesso gestisce i traffici nelle regioni al confine con la Thailandia in partnership con le milizie etniche alleate. Poche settimane prima del colpo di Stato che nel 2021 ha fatto sprofondare il Myanmar nella guerra civile, quando l’esecutivo era ancora guidato da Aung San Suu Kyi, le BGF di etnia Karen avevano siglato un accordo con l’esercito birmano per continuare indisturbate a gestire i propri affari.

Le BGF di etnia Karen sono guidate dal colonnello San Myint, meglio noto con il nome di Saw Chit Thu. Nei giorni scorsi il dipartimento per le Indagini speciali della Thailandia, anche in questo caso probbailmente su pressione cinese, ha richiesto un mandato di arresto nei suoi confronti, che deve però ancora essere emesso da un tribunale.

Nel 1994 San Myint si era separato dal Karen National Liberation Army, a predominanza cristiana, per dare vita alla Democratic Karen Buddhist Army, poi entrata a far parte dei ranghi dell’esercito birmano come Karen Border Guard Force e dall’anno scorso rinominata Karen National Army nel tentativo (non riuscito) di distanziarsi dai militari, per cui molti continuano a fare riferimento al gruppo come BGF per sottolineare i continui legami con la giunta birmana. 

Ancora oggi San Myint è il leader della milizia, ma non solo: insieme ai figli e ai partner Saw Mote Thone e Saw Tin Win (anche nei loro confronti è stato richiesto un mandato di arresto da parte del DIS thailandese) controlla almeno cinque compagnie che hanno prosperato dopo lo scoppio della guerra civile in Myanmar a febbraio 2021. Tra le aziende gestite da San Myint rientrano società di costruzioni che hanno realizzato i centri per le truffe online a Shwe Kokko e Myawaddy (a volte alti edifici circondati da filo spinato, in altri casi hotel e casinò dentro i quali vengono nascosti i truffatori-schiavi), ma anche le aziende che hanno stabilito i contratti con la Thailandia per la fornitura di energia elettrica ai centri per le truffe online. Secondo diverse fonti, a Myawaddy, ci sarebbero almeno 10 compound, mentre a Shwe Kokko, circa 20 chilometri più a nord, si contano almeno 20mila cittadini cinesi impegnati in operazioni di “phishing” o “pig-butchering” (l’attività di instaurare relazioni con una vittima online per convincerla a versare denaro sul conto dei truffatori). 

L’analista sentito da AsiaNews ha però sottolineato che a livello locale Saw Chit Thu è osannato come un importante leader militare e religioso, perché parte dei guadagni ottenuti dai centri per le truffe online vengono reinvestiti per lo sviluppo delle comunità locali. A Myawaddy si sono perfino tenuti raduni religiosi in onore di She Zhijiang, socio di Saw Chit Thu, arrestato in Thailandia nel 2022 e che attualmente si trova ancora in carcere a Bangkok in attesa dell’estradizione in Cina. A inizio mese, quando la Thailandia ha staccato la corrente a Myawaddy e Shwe Kokko, la popolazione birmana è scesa in strada a protestare, percorrendo i ponti “dell’amicizia” che collegano il Myanmar alla “Terra del sorriso”. 

Nel frattempo le organizzazioni criminali, per sfuggire alla repressione thailandese, si stanno spostando nell’entroterra birmano. Ma non è da escludere che le operazioni si trasferiscano nuovamente in Cambogia, dove godono della protezione del regime cambogiano e dove per la Cina sarebbe ancora più difficile intervenire a causa di diversi interessi strategici come la presenza della base navale di Ream. Non è un caso, quindi, che ieri Liu Zhongyi, ministro aggiunto per la Sicurezza pubblica, incaricato di guidare la repressione degli scam centers, abbia visitato la Cambogia accompagnato da una nutrita delegazione di esperti e diplomatici cinesi.

Fonte : Asia