Cloud seeding (inseminare le nuvole), ovvero il volto bifronte della tecnologia applicata al clima

Nelle attività di cloud seeding – ha sottolineato Abdulla Al Mandous, direttore generale del National center of meteorology e presidente dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) – abbiamo iniziato ad utilizzare anche l’intelligenza artificiale, per la modellazione e la previsione delle nuvole seminabili, ottimizzando in questo modo l’efficacia delle operazioni. Stiamo inoltre testando il cloud seeding con i droni e abbiamo brevettato una nuova tecnica che usa la nanotecnologia, aumentando di ben tre volte le possibilità di precipitazioni rispetto ai materiali usati finora”. I modelli di intelligenza artificiale, in particolare le reti di apprendimento profondo, possono infatti analizzare grandi quantità di dati per fornire previsioni meteorologiche molto più accurate, soprattutto per quello che viene definito il “nowcasting”, ovvero le previsioni meteorologiche a brevissimo termine, entro poche ore, su un particolare territorio d’interesse. Indispensabili non solo per l’inseminazione delle nuvole, che hanno una vita breve e si trasformano velocemente, ma anche per individuare tempestivamente eventi estremi.

Al Centro meteorologico nazionale degli Emirati Arabi ogni giorno vengono monitorate le perturbazioni in arrivo, ed è da questo “ascolto” che parte l’inseminazione delle nuvole. Nel paese, dal 2015 viene regolarmente praticato il cloud seeding e oggi le missioni sono circa 300 all’anno. Le operazioni cominciano la mattina presto: individuate le perturbazioni adatte, quelle cumuliformi, i King Air decollano dall’aeroporto di Al Ain e lanciano all’interno della nube sostanze saline, cloruro di sodio e di potassio. E’ cosi’ che le gocce di vapore acqueo contenute nelle nuvole si appesantiscono, aumentando la possibilità di precipitazioni: secondo i dati resi noti qui, dal 10% al 25%, a seconda delle condizioni atmosferiche.

Dubbi e sostenibilità

Ma l’inseminazione delle nuvole solleva da sempre accesi dibattiti, da quando è stata sviluppata, oltre 80 anni fa: non si conoscono ancora né la reale efficacia né gli effetti sull’ambiente. Negli Emirati Arabi sono sicuri dei risultati: in realtà, la comunità scientifica è divisa. I detrattori di questa pratica sostengono infatti che siano più sostenibili, e meno dispendiose (un’operazione costa intorno agli 8000 dollari), strategie solide e affidabili di gestione delle risorse idriche. Il cloud seeding, insomma, non può essere pensato come sostituto di una azione efficace sul cambiamento climatico. Anche il presidente del World water council ad Abu Dhabi ha ricordato l’importanza di un approccio diversificato alle soluzioni idriche: quindi sì alla tecnologia, al cloud seeding, ma portato avanti insieme alle tecniche di desalinizzazione (sempre più economiche), al trasferimento dell’acqua, al riciclaggio e all’uso delle acque sotterranee.

Nei climi aridi occorre usare cautela – ha sottolineato invece Jan Henneberger, responsabile del gruppo di fisica sperimentale delle nubi dell’ ETH di Zurigo, -: se c’è una quantità limitata di acqua nell’aria, potrebbe non piovere più oltre il punto in cui pratichi il cloud seeding, portando quindi maggior siccità nelle aree circostanti. Se aggiungi acqua in una zona dell’atmosfera, in parole semplici, ne vai a togliere da un’altra”. Interferire nell’equilibrio delicato della meteorologia, insomma, solleva anche questioni etiche: cambiare il meteo in un paese potrebbe portare a impatti catastrofici in un altro, aprendo perfino nuovi conflitti.

Ma le precipitazioni di quanto aumentano davvero con il cloud seeding? “E’ una domanda difficile, che in molti continuano a porsi – ha risposto Henneberger-. E’ complicato quantificare, non potrai infatti mai sapere che cosa sarebbe successo senza avere inseminato le nuvole”.

Fonte : Wired