Zero Day, perché la serie è diversa da ogni altro racconto sulla cybersecurity

Zero Day è appena arrivata su Netflix è già fa discutere, dal momento che la serie, creata da Eric Newman, Noah Oppenheimer e Michael Schmidt, ci mostra un’America alle prese con nemici interni, eversione e terrorismo. Racconto political thriller di grande tensione e qualità, Zero Day già dal titolo però è connessa al problema della cybersicurezza, con una verosimiglianza che la rende ancor più inquietante.

Un cyberattacco dannatamente realistico

Guardare Zero Day su Netflix è un’esperienza davvero strana. Abbiamo un Robert De Niro tornato a ruggire come ai bei tempi nei panni di George Mullen, un ex Presidente, chiamato a risolvere una situazione difficile. L’America è sotto attacco, ma stavolta non si tratta di kamikaze, di qualche terrorista interno o di una pandemia. Un misterioso gruppo di hacker ha colpito sostanzialmente ogni dispositivo elettronico, dai pc ai cellulari, dai super-computer della Difesa agli iPad, arrivando anche ad intaccare le apparecchiature degli ospedali, delle linee aeree, metropolitane, i semafori… l’intero paese, è finito nel giro di pochi istanti in ginocchio, ci sono stati più di 4mila morti. Un disastro. Mullen è stato Presidente, poi si è dimesso quando il figlio è morto di overdose, quanto quello Studio Ovale gli è parso sempre più piccolo e opprimente. Ora però è chiamato a prendere in mano la situazione.

L’attuale Presidente, Evelyn Mitchell (Angela Bassett) gli chiede di guidare una Task Force che cerchi di individuare i colpevoli. Plummer, con una figlia, Alexandra (Lizzy Caplan) anch’essa scesa in politica, assieme al suo braccio destro Roger Clemons (Jess Plemons), ha una lista dei sospettati bella lunga. In cima però c’è l’influencer populista di destra Evan Green (Dan Stevens), e la guru hi tech Monica Ridder (Gaby Hoffman). Ma la Presidente, spalleggiata dallo speaker della camera Richard Dryer (Matthew Modine), propende per un attacco hacker portato dai russi. Naturalmente la realtà è molto più complessa e Zero Day di puntata in puntata ci delinea un quadro inquietante, nebuloso, si intuisce che c’è un nemico, ma non ha una faccia, non sono chiari moventi ed intenzioni. Vi è una sola certezza che emerge dopo due episodi: è un nemico che viene dall’interno, un nemico che sa come manipolare le masse.

La sicurezza di DeepSeek fa acqua da tutte le parti

In diversi test condotti da ricercatori, l’AI dell’azienda cinese non è mai riuscita a bloccare i tentativi di produrre risultati pericolosi

Fin dal titolo, Zero Day abbraccia un’identità molto precisa. Il termine in informatica descrive una vulnerabilità che si palesa in modo improvviso e terribile all’interno di un sistema informatico, senza che nessuno se ne sia accorto, con una serie di azioni illegali di varia entità. Lo Zero definisce quell’aggressione come il primo giorno di una nuova epoca per il sistema oggetto dell’attacco. La serie su Netflix pesca a piene mani dal cinema di John Frankenheimer, Francis Ford Coppola, Sydney Pollack, che al tempo della Guerra Fredda innovarono profondamente il genere. Abbiamo manipolazione, bugie, inganni, spie, ma stavolta è la cybersicurezza al centro di tutto. Il virus è si è mascherato usando una app diffusissima a livello mondiale, da lì si è propagato ovunque, senza che nessun Firewall esistente potesse fermarlo. Banche e Istituti di credito sono in ginocchio, le apparecchiature per la terapia intensiva, le centrali elettriche, vanno in tilt.

Non è la prima volta che il cinema ci mostra la cybersicurezza come la nuova frontiera, il nuovo campo di battaglia. Nel 1983, nel pieno del ritorno alla Guerra Fredda, uscì un piccolo capolavoro come Wargames di John Badham. Matthew Broderick vestiva i panni di un giovane hacker, che penetrava nella Silicon Valley in procinto di cambiare il mondo, e ingaggiava senza volerlo un duello con un’Intelligenza Artificiale utilizzata dalla Difesa per proteggersi contro i sovietici. Per poco non cominciava una Terza Guerra Mondiale. Sono passati più di 40 anni e tutto ciò è diventato una realtà. Esattamente 10 anni fa Michael Mann con **Blackhat **ci parlò dell’impatto terrificante che un cyberattacco poteva avere sulla vita delle persone, in un altro film dove emergevano le fragilità della sicurezza degli Stati rispetto ai grandi gruppi tecnologici privati. A riguardare a cosa è oggi la guerra informatica, aveva assolutamente ragione.

Il difficile rapporto tra tecnologia e sicurezza

Zero Day ci mostra un piano che segue una programmazione molto articolata, algoritmica, con diverse fasi concatenate. Qualcosa di simile ce l’aveva mostrato anche Die Hard – Vivere o morire, il quarto episodio della mitica saga con Bruce Willis. Lì c’era stato un cyber attacco diviso in quattro diversi momenti, con un algoritmo utilizzato per disabilitare le infrastrutture dell’America, sostanzialmente come in Zero Day e con effetti parimenti distruttivi. L’elenco potrebbe continuare: Snowden e Il Quinto Potere ci hanno parlato del rapporto tra verità, cybersicurezza e segretezza di Stato, mettendo al centro Julian Assange e l’ex tecnico della CIA diventato gola profonda. Lì abbiamo avuto l’altra faccia della medaglia: la cybersicurezza dal punto di vita del cittadino comune, la cui privacy ed i cui dati vengono illegalmente tracciati da programmi per la sorveglianza utilizzati dai Governi.

Fonte : Wired