La Corte Ue dà ragione a Enel nella disputa con Google sull’interoperabilità delle app

Google non può rifiutare l’interoperabilità della sua piattaforma con un’applicazione di un’altra impresa. Lo hanno deciso i giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza relativa a un caso che ha opposto Enel e Google (Alphabet): Enel aveva lanciato l’applicazione JuicePass che consente ai conducenti di localizzare e prenotare stazioni di ricarica per i loro veicoli elettrici.

Per facilitare la navigazione verso tali stazioni, Enel ha chiesto a Google di rendere l’applicazione compatibile con Android Auto, il sistema di Google che consente di accedere, direttamente sullo schermo di bordo delle automobili, ad applicazioni presenti su smartphone. Google ha rifiutato e l’Autorità garante della concorrenza italiana (Agcm) ha inflitto un’ammenda di oltre 102 milioni di euro a Google, ritenendo che tale comportamento costituisse un abuso di posizione dominante.

Nel pronunciamento dell’Antitrust si leggeva che “rifiutando a Enel X Italia di rendere disponibile JuicePass su Android Auto”, Big G avrebbe “ingiustamente limitato le possibilità per gli utenti di utilizzare la app quando sono alla guida di un veicolo elettrico e hanno bisogno di effettuare la ricarica”. Google lo avrebbe fatto per favorire Maps.

“Abbiamo lanciato la funzionalità richiesta da Enel, nonostante essa fosse rilevante solo per lo 0,04% delle auto in Italia quando Enel l’ha richiesta originariamente”, ha commentato la sentenza un portavoce di Google. “Diamo priorità alla creazione delle funzionalità di cui i conducenti hanno maggiormente bisogno perché crediamo che l’innovazione debba essere guidata dalla domanda degli utenti, non dalle richieste di specifiche aziende. Siamo delusi da questa sentenza, che esamineremo ora in dettaglio”, ha aggiunto.

La sentenza dei giudici europei arriva dopo una disputa durata anni. Ma martedì i giudici hanno affermato che Google potrebbe abusare della sua posizione dominante non rendendo Android Auto interoperabile con un’app sviluppata da terzi. Le pratiche di Google potrebbero essere giustificate se non esiste un modello preesistente per la categoria di app in questione e la creazione di uno comprometterebbe la piattaforma o se è tecnicamente impossibile crearne uno, hanno detto i giudici, aggiungendo che altrimenti l’azienda tecnologica dovrebbe creare un modello a cui i rivali possano accedere.

Fonte : Repubblica