Un disegno di legge del Likud vuole imporre una tassazione dell’80% per donazioni da enti stranieri e limitare il loro diritto di ricorrere in tribunale. Ad AsiaNews il direttore Sviluppo e relazioni esterne della storica associazione pacifista oggi in piazza con le famiglòie degli ostaggi, conferma le preoccupazioni per questa norma. Il rischio di allontanare Israele dalle democrazie liberali e di rafforzare le tendenze autoritarie.
Milano (AsiaNews) – “Un attacco mortale alla società civile israeliana, in particolare alle organizzazioni che promuovono i diritti umani, la democrazia e la pace”. È quanto sottolinea ad AsiaNews Mauricio Lapchik, direttore Sviluppo e relazioni esterne di Peace Now, commentando la controversa proposta di legge al vaglio della Knesset, il Parlamento israeliano, che rischia di diventare una pietra tombale per le ong nello Stato ebraico. Il 19 febbraio scorso la prima (di quattro votazioni previste dal regolamento) che si è conclusa con 47 voti favorevoli e 19 contrari, per una norma che impone tasse massicce a ong finanziate da governi stranieri ed erode il diritto di intentare cause nei tribunali israeliani. Il disegno di legge, sponsorizzato dal deputato del Likud Ariel Kallner, impone una tassazione mostruosa pari all’80% per le donazioni di governi stranieri, finendo per bloccare l’attività in israele e Cisgiordania.
Gruppi attivisti – come B’Tselem, Breaking the Silence e il New Israel Fund – sono stati a lungo presi di mira dalla destra israeliana e persino dal centro per la loro attenzione alle violazioni israeliane dei diritti umani contro i palestinesi. Nel frattempo, le organizzazioni di destra che si affidano a donazioni private non vengono toccate dalla norma, mentre il ministro delle Finanze avoca a sé il potere discrezionale di esentare alcune organizzazioni. “Questo cambiamento – prosegue il direttore di Peace Now, sottolineando al contempo la vicinanza alle famiglie degli ostaggi di Hamas in piazza per chiederne la liberazione – rischia di allontanare Israele dalle democrazie liberali e di rafforzare le tendenze autoritarie. Per la società civile, ciò significa un aumento della repressione, della delegittimazione e delle minacce alle libertà fondamentali”.
Se sul fronte interno il governo è pronto ad approvare leggi che rischiano di azzerare l’impegno della società civile e l’attivismo, dall’altro alimenta minaccioso i venti di guerra nella regione. Di recente, per la prima volta in 20 anni, ha lanciato una maxi-operazione militare nell’area di Jenin, affermando che durerà almeno un anno e ha già costretto oltre 40mila palestinesi ad abbandonare le loro case. Al contempo, dal Libano alla Siria, dall’Iran allo Yemen sino a Gaza si fa sempre più forte il rumore delle armi: in particolare nella Striscia, dove è sempre più fragile e a rischio il cessate il fuoco sottoscritto con i miliziani per ottenere il rilascio degli ostaggi.
Infine in Siria, con la leadership dello Stato ebraico che dichiara di “non tollerare” la presenza di Hayat Tahrir al-Sham (Hts, gli ex miliziani radicali guidati da Ahmed al-Sharaa protagonisti della cacciata dell’ex presidente Bashar al-Assad e oggi al potere a Damasco) nel sud. Al riguardo, lo Stato ebraico intende mantenere una propria presenza nell’area a tempo indefinito con un cambio radicale di strategia e chiede che il territorio sia smilitarizzato. Dichiarazioni che preoccupano i siriani, che sono scesi in piazza ieri nella zona meridionale del Paese per protestare contro “l’espansionismo” israeliano sul territorio.
Di seguito, l’intervista al direttore elazioni esterne di Peace Now:
Quali sono gli elementi di criticità nella legge sulle ong e come influisce sulla ‘mission’ di Peace Now e di altre realtà?
La proposta di legge è un attacco mortale alla società civile israeliana, in particolare alle organizzazioni che promuovono i diritti umani, la democrazia e la pace. Se venisse approvata, imporrebbe gravi restrizioni sul piano economico e giuridico alle Organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti da cancellerie straniere, tra cui una tassazione esorbitante e il divieto di intentare cause legali in Israele. Ciò minaccia direttamente la capacità di Peace Now di monitorare l’espansione degli insediamenti, di sostenere la soluzione dei due Stati e di ritenere l’esecutivo responsabile [delle proprie azioni e decisioni]. È un altro passo per mettere a tacere le voci dell’opposizione e minare la democrazia israeliana.
Vi è ancora la possibilità di fermarlo o è destinato all’approvazione?
No, vi sarebbe ancora una possibilità di fermare la legge, ma dipende dalla pressione politica, sia interna che internazionale. L’attuale governo [di Israele] ha una forte maggioranza di estrema destra e molti dei suoi membri sostengono la norma. Tuttavia, i precedenti tentativi di approvare una legge simile sono falliti a causa della protesta dell’opinione pubblica interna e delle pressioni internazionali. Se la società civile, i media e i governi stranieri agiranno con decisione, la legge potrebbe essere bloccata o indebolita.
Una proposta simile era già emersa in passato, quasi due anni fa, ma era saltata prima del voto finale. Il clima – sociale e politico – è diverso ora?
Il clima politico è diventato ancora più ostile nei confronti delle organizzazioni per i diritti umani e dei gruppi pro-democrazia. Dall’inizio della guerra a Gaza, il governo ha intensificato la repressione del dissenso e il dibattito pubblico è stato sempre più improntato alla retorica nazionalista. In realtà l’opposizione a queste misure esiste ancora, ma la coalizione di destra è più forte di prima. Ciò significa che le possibilità che la legge venga approvata possano essere decisamente più elevate che in passato.
Tassazione insostenibile e l’impossibilità di intentare cause rappresentano dunque una pietra tombale sulla presenza stessa dell’attivismo e della società civile israeliana?
Assolutamente sì. Una tassazione così elevata potrebbe paralizzare finanziariamente anche organizzazioni come la nostra, costringendole a ridimensionare attività cruciali come il monitoraggio degli insediamenti e le sfide giuridiche [in tribunale] agli avamposti illegali, tra le altre cose. Inoltre, l’impossibilità di intentare cause impedirebbe di fatto alle ong di intraprendere azioni legali contro le violazioni dei diritti umani e le politiche governative, eliminando in questo modo un meccanismo chiave di responsabilità.
Il conflitto a Gaza e la continua violenza in Cisgiordania – che assomiglia molto a una guerra mascherata – hanno influenzato e come il vostro lavoro?
La guerra a Gaza e il terrorismo dei coloni in Cisgiordania hanno creato un ambiente estremamente difficile per tutti coloro che lavorano contro l’occupazione. Il governo messianico e gli elementi estremisti hanno usato il conflitto per giustificare le politiche repressive, rendendo più difficile l’attività delle organizzazioni per le risorse umane e i diritti. La situazione della sicurezza, le minacce legali e la riduzione dello spazio democratico rendono il nostro lavoro, oggi, più difficile che mai. Tuttavia, questo non fa che rafforzare l’urgenza e l’essenza stessa della nostra missione.
Peraltro la norma, nella sua applicazione, evidenzia anche criteri di selettività: qual è l’obiettivo dietro queste politiche?
L’affermazione secondo cui questo disegno di legge mira a limitare l’influenza straniera è fuorviante. Un esempio concreto: il governo israeliano è ora accusato di ricevere sostegno finanziario dal Qatar e le organizzazioni dei coloni beneficiano di massicci finanziamenti privati esteri, in particolare dagli Stati Uniti. Questa proposta di legge prende di mira in modo selettivo le Ong progressiste, ignorando il denaro straniero che alimenta l’espansione degli insediamenti e i gruppi estremisti. Il vero obiettivo è sopprimere il dissenso interno e indebolire le organizzazioni israeliane che contestano le politiche del governo.
Il rinnovato asse tra Israele e Stati Uniti, in particolare tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu, che impatto avrà?
La crescente alleanza tra Netanyahu, Trump e l’estrema destra globale è profondamente preoccupante. Essa incoraggia le forze nazionaliste e antidemocratiche in Israele, spingendo politiche che rafforzano ulteriormente l’occupazione e indeboliscono le istituzioni democratiche. Questo cambiamento rischia di allontanare Israele dalle democrazie liberali e di rafforzare le tendenze autoritarie. Per la società civile, ciò significa un aumento della repressione, della delegittimazione e delle minacce alle libertà fondamentali.
Qual è la posizione di Peace Now rispetto alle proteste delle famiglie degli ostaggi di Hamas a Gaza? Questo movimento avrà un impatto e un futuro per Israele?
Le famiglie degli ostaggi stanno lottando per ottenere giustizia e il ritorno dei loro cari, la loro lotta è fondamentale. Le proteste evidenziano il fallimento dell’esecutivo nell’ottenere un accordo [con Hamas, ndr] e la sua volontà di abbandonare i cittadini israeliani [sequestrati a Gaza dal oltre 500 giorni] per ragioni politiche. Questo movimento rappresenta una delle poche forze capaci di sfidare il governo al di fuori delle linee politiche tradizionali. Se riuscirà a portare un cambiamento dipenderà dal fatto che l’opinione pubblica israeliana si mobiliti dietro di loro e faccia pressione sulla leadership affinché agisca. Noi saremo sempre al loro fianco.
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Fonte : Asia