video suggerito
L’economista argentino Leandro Bona ricostruisce a Fanpage.it la vicenda della criptomoneta Libra promossa dal presidente argentino Javier Milei: “Da un punto di vista sociale, sarebbe quasi meglio per lui essere un truffatore piuttosto che un ingenuo”.
Intervista a Leandro Bona
Economista argentino, ricercatore presso il Conicet e il Flacso e docente nella Universidad Nacional de La Plata.
Leandro Bona è un economista argentino, ricercatore presso il Conicet e il Flacso e docente nella Universidad Nacional de La Plata. Parliamo con lui dello scandalo della criptomoneta Libra che sta scuotendo il governo argentino, della strategia protezionista di Trump, delle possibili risposte delle altre aree del mondo e di come evolveranno le relazioni commerciali tra i paesi.
Lo scandalo legato all’emissione della criptomeneta Libra, il cosiddetto Libragate, sta appannando l’immagine di Milei: ci spiega cosa è successo?
Lo scorso venerdì il presidente argentino ha fatto un tweet in cui suggeriva di comprare una criptomoneta di dubbia e recente origine che, perciò e rapidamente, ha avuto un’impennata di prezzo. Quelli che avevano collocato questa criptomoneta sul mercato hanno deciso allora di ritirare i propri guadagni, realizzando un rendimento molto elevato, a scapito degli altri investitori.
Leggi anche
Caso Almasri, cosa sappiamo dell’indagine della Corte penale internazionale sull’Italia
Milei dice che il mercato delle criptomonete è come giocare al casinò e che quando si perde al casinò poi non si può fare reclamo: è così?
In parte sì e in parte no. Effettivamente il mondo delle criptomonete sta proliferando, adesso è molto facile creare criptomonete basandosi sulla credibilità degli investitori che può essere effimera, nel senso che qualunque investitore dovrebbe sapere che il rischio è elevato. Si può perciò dire che è una scommessa rischiosa, che l’alto rischio è commisurato all’alto rendimento e che c’è molta probabilità che tutto crolli e non si ottenga il guadagno sperato. Ma quello che non ha senso di questa argomentazione è che chi sta promuovendo questa truffa è il presidente di un paese e il presidente di un paese non dovrebbe stare dietro un affare finanziario di breve periodo che probabilmente finirà in frode.
C’è stato un caso analogo negli Usa con il lancio di due criptomonete da parte di Trump e Melania. Il presidente della Repubblica Centroafricana ha lanciato una criptomoneta per finanziare lo sviluppo del Paese. Ma si può affidare a uno strumento così volatile, in mano alla speculazione, il futuro di un paese?
Trump fece qualcosa del genere, effettivamente, ma con un’operazione distinta. Perché Trump annunciava la creazione di una criptomoneta di breve durata come propria, non di terze persone. Partendo dalla base che si trattasse di un gioco trasparente. Si può quindi pensare che in questo caso non ci si trovi davanti a una frode. Successe qualcosa di analogo anche in Salvador, quando era stato adottato il bitcoin come valuta nazionale. C’è una discussione teorica sul fatto se le criptomonete siano o no monete. Perché le condizioni che deve avere una moneta per essere tale sono che serva come mezzo di scambio, ossia che serva per pagare cose, che misuri il prezzo delle cose e che abbia una riserva di valore. Il bitcoin forse ha una riserva di valore, anche se è discutibile affermarlo data la sua estrema volatilità. Però non può utilizzarsi per comprare o vendere cose, o pagare imposte. In Salvador perciò il progetto fallì. È molto difficile scommettere sulla stabilità di una criptomoneta e che possa perciò rappresentare un meccanismo di sviluppo per un paese. Io non credo che possa esserlo, perché la volatilità di una criptomoneta, e questo caso lo dimostra, la rende troppo rischiosa.
Cosa c’è dietro la Libra? Si è parlato del finanziamento di un presunto progetto di crescita per il Paese. I creatori della Libra sono degli sconosciuti sul mercato delle criptomonete, ma si dicono conoscenti di Milei e di sua sorella Karina.
Sembrerebbe piuttosto chiaro che c’è una relazione commerciale tra le parti che viene dai tempi precedenti alla presidenza, quando Milei era un consulente o un ospite televisivo e promuoveva diversi strumenti di risparmio con investimenti speculativi e finanziari. D’altra parte, per quanto Milei abbia promosso la criptomoneta inizialmente come un investimento per lo sviluppo dell’Argentina, era evidente che si trattava di un’operazione speculativa. La relazione tra i promotori e i fratelli Milei è di lunga data, è una relazione commerciale dove ci sono benefici per tutti: ti pago perché tu mi promuova, questa promozione genera un rendimento e ci guadagniamo entrambi. Il problema è, come si diceva al principio, che Milei è oggi il presidente di un Paese e dovrebbe esserci un conflitto di interessi nel fare queste operazioni.
Milei o ha favorito i suoi amici e perciò è un corrotto, o è in buona fede e quindi non è quel genio della finanza e dell’economia che lui millanta d’essere.
Questa effettivamente è stata la disgiuntiva emersa al principio. Dal venerdì fino al lunedì successivo il dibattito nella società argentina era: Milei è un ingenuo o un truffatore? Con l’intervista che rilascia lo scorso lunedì, Milei fa capire che conosceva il meccanismo secondo cui quelli che investirono e perdevano erano consapevoli del rischio. Ossia, tenta di dar a vedere che non è un ingenuo, ma che conosce il caso. Eppure, anche così, visto quello che poi è accaduto, ne esce comunque come un ingenuo, perché dimostra di non sapere cosa si sarebbe scatenato poi, di non aver valutato le conseguenze dell’operazione.
Ossia che è un truffatore e in più poco brillante?
È una combinazione di entrambe le cose. Per certi versi, da un punto di vista sociale, sarebbe quasi meglio per lui essere un truffatore piuttosto che un ingenuo. Milei si vanta di fare affari, di non avere scrupoli, di essere uno che discrimina. Ma che fosse un ingenuo nessuno ancora se n’era accorto. Ossia, che, oltre tutto quello che si può dire di lui, è una persona incapace ed essendo presidente questo risulta piuttosto grave.
Ci sono diverse denunce in Argentina a negli Stati Uniti contro Milei per questo caso: di cosa lo accusano?
Di aver preso parte a una truffa. Tutti quelli che hanno perso stanno denunciando il meccanismo: è stata creata artificialmente una moneta, è stata promossa da un presidente, gli investitori inziali si sono ritirati molto rapidamente abbandonando tutti gli altri. Non è chiaro quali sia il modo per provare che fu una truffa, perché si può sempre dire che si operò in buona fede. Ci sono molti casi come questi, meno noti perché non vi partecipa un presidente, ma che funzionano con lo stesso sistema. Forse negli Stati Uniti queste denunce hanno maggiori probabilità di avanzare. In Argentina, trattandosi di un presidente in esercizio, è molto difficile che vadano avanti.
Che censura politica sta organizzando l’opposizione?
C’è una parte dell’opposizione che più chiaramente promuove un giudizio politico, come nel caso del peronismo kirchnerista. Tutti sanno che l’iniziativa per un giudizio politico non ha i voti per passare. Nel migliore dei casi può esserci una mozione perché Milei dia spiegazioni. Uno dei vantaggi che ha il governo è proprio che l’opposizione è frammentata e divisa.
Parliamo di dazi, la grande minaccia di Trump. Minaccia ai Paesi vicini, all’Europa, applicazione sui prodotti cinesi, sull’acciaio e l’alluminio. Che tipo di messaggio dà al mondo?
Mi sembra una risposta logica alla luce di quanto sta succedendo negli Stati Uniti rispetto alla perdita di competitività che registrano in relazione agli altri paesi e soprattutto alla Cina. Dal momento che c’è una relazione evidente tra l’auge della Cina e il declino degli Stati Uniti, questi ultimi, come sempre succede nel caso di una nazione egemonica che va perdendo egemonia, si finanziarizzano: ossia, gli Stati Uniti, per compensare la mancanza di capacità produttiva, finanziarizzano la loro economia per ottenere un rendimento che non ricavano più dal settore produttivo e la Cina li rimpiazza nella capacità di produrre e vendere al resto del mondo in maniera più efficiente. Al principio e alla metà del secolo scorso, successe la stessa cosa nelle relazioni tra Regno Unito e Stati Uniti: quando il Regno Unito cominciò a perdere la sua egemonia produttiva nei confronti degli Stati Uniti diventò protezionista e diede impulso ai mercati finanziari. Questo dunque è il primo messaggio di Trump: poiché sono cosciente di star perdendo questa capacità, devo proteggermi, prima col libero commercio vincevo tutti, ma adesso non più. Il secondo messaggio è: scelgo dove proteggermi. E quindi l’annuncio del dazio del 25% su acciaio e alluminio. Ma attenzione, Trump applica la strategia del “menare per negoziare”. Ossia, Trump propone un nuovo scenario in cui lui ha una capacità negoziale distinta a quella che avrebbe senza questi annunci. Ci sarà una fase nel mondo di maggior protezionismo che può generare un picco d’inflazione negli Stati Uniti e nei suoi tassi di interesse e questo ridefinirà la situazione dei mercati dei capitali e degli investimenti. Bisognerà vedere come reagirà l’Europa alla sfida, alcuni paesi come la Francia hanno in agenda l’avvio di processi di reindustrializzazione. Il messaggio finale di Trump è che il mondo sta cambiando, le regole saranno diverse e in questo quadro lui vuole continuare a essere quello che comanda.
Trump parla esplicitamente di un problema di bilancia commerciale deficitaria con i Paesi da cui importa beni e servizi, perché pensa che importando beni e servizi si riduca la produzione interna e perciò l’occupazione.
Ci sono due politiche che si coniugano in questo senso: la politica migratoria e quella dei dazi. La base elettorale di Trump è data da uno statunitense anglosassone spesso legato all’industria manifatturiera, infatti i repubblicani vincono nel centro del paese e perdono sulla costa dove sono le aree più cosmopolite. Si tratta allora di frenare l’ingresso di migranti che riducono il salario reale dei lavoratori nordamericani, perché determinano una concorrenza e a volte una frizione con settori che vogliono salari bassi. D’altra parte si usa la politica dei dazi per proteggere questi settori. Quindi il messaggio di Trump è: proteggo l’industria e proteggo l’occupazione perché impedisco l’inclusione di migranti che deprimono i salari. Questo genera però altre tensioni nel paese, come l’aumento dei prezzi. Inoltre, bisogna vedere se gli Stati Uniti potranno rimpiazzare così rapidamente la produzione che non importeranno più.
Quando si parla di guerra commerciale come fa Trump, quali sono le conseguenze per i Paesi coinvolti e per gli Stati Uniti?
Per il resto del mondo il primo effetto può essere la ridefinizione della politica locale verso un modello di maggiore protezione che è l’opposto di quanto abbiamo vissuto negli ultimi quarant’anni. Ossia, che tutti i paesi comincino a rispondere con politiche di dazi: questo frenerà una parte della produzione deprimendo l’occupazione, nel senso che i prodotti prima importati non sono così facili da rimpiazzare. Si suppone che nel lungo periodo il problema venga risolto, ma il primo impatto fa crescere il disagio sociale. Il secondo effetto che può determinarsi è che il resto dei paesi comincino a pianificare un po’ di più il proprio schema di concorrenza, scegliendo i settori su cui puntare. Pianificare è l’opposto di quello che è successo col libero commercio. Personalmente trovo che l’idea di pianificazione economica è piuttosto attraente, come fecero diversi paesi europei dopo la seconda guerra mondiale. Il paese che maggiormente ha pianificato il suo sviluppo negli ultimi decenni è la Cina, che sceglie dove investire. E la Cina è il paese che dimostra come un sistema pianificato di sviluppo possa realizzare risultati migliori.
Anche l’Argentina, nonostante l’ammirazione di Milei per Trump, subirà gli effetti dei dazi sull’acciaio e l’alluminio.
Probabilmente i settori che producono alluminio e acciaio in Argentina, si tratta di due imprese che esportano negli Stati Uniti, vivono una tensione interna al paese: si chiedono fin dove il programma economico di Milei risulti vantaggioso per loro e la risposta è sì, perché aumentano i profitti delle imprese e l’attacco alla classe lavoratrice è molto chiaro. Se però il governo argentino non li difenderà dalla riduzione delle importazioni ci sarà un problema. Una possibile lettura, infatti, è che i settori dominanti in Argentina stiano facendo pressioni sul governo perché prenda misure in loro difesa.
Il mondo va verso il protezionismo e Milei è iperliberista, sembra controintuitivo…
Effettivamente è proprio controintuitivo, il mondo sta andando in un senso molto diverso di quello in cui va l’Argentina. La proposta di Milei non ha vinto per le sue caratteristiche, ma per il contesto sociale che c’era in Argentina, con un’inflazione molto elevata e la proposta di Milei diceva che l’avrebbe ridotta.
Quello di Milei è un modello che può vincere in prospettiva?
Penso che non avrà successo nel medio e nel lungo periodo, ma nel breve periodo c’è un’opportunità data dal fatto che l’Argentina sta incrementando la produzione di combustibili. E questa può generare un aumento degli investimenti e di esportazioni che le dia una sorta di auge nell’entrata di dollari. Se questo succede, è possibile che si generi una crescita economica su un livello di partenza molto basso del Pil. Ma credo che prima o poi ci sarà una crisi peggiore di quella che abbiamo avuto. Attualmente livelli minori d’inflazione si sostengono con salari più bassi e il mantenimento del cambio. Quello che vuole Trump in America Latina è garantirsi una serie di risorse dei diversi paesi, con l’Argentina potrebbe negoziare per esempio l’importazione del litio, che per il 70% oggi va alla Cina.
Come si possono difendere i paesi colpiti dai dazi? Come potrebbero cambiare le relazioni commerciali tra loro?
In questo momento ci sono paesi europei tra i più importanti che si stanno ponendo la questione della pianificazione dello sviluppo. Alcune relazioni prima erano prevalentemente bilaterali con gli Stati Uniti, come nel caso della Germania. Ora, la politica di Trump sta obbligando l’Europa a ripensarsi in termini di unità europea. Per quanto riguarda l’accordo tra Mercosur (il mercato comune dell’America meridionale) e Unione Europea, siglato alla fine dello scorso anno, mi sembra che sia vantaggioso per alcuni settori piuttosto che per la popolazione sudamericana e più per l’Europa che per il Mercosur, secondo il principio che la periferia esporta materie e il centro prodotti industriali. Le relazioni dell’Europa con la Cina sono già molto importanti. Il radicamento dell’estrema destra in Europa può implicare un tipo di pianificazione alla Trump e questo può portare a una contrapposizione tra i due blocchi. Il Messico è molto dipendente dagli Stati Uniti e non può scegliere di liberarsene. L’Europa ha una facoltà maggiore di scelta, ma ha bisogno di una unità che oggi non c’è.
Fonte : Fanpage